Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Andrea Camilleri, dopo molti anni di assenza, si reca a Siracusa in occasione della rappresentazione di una tragedia classica. Mentre sta seduto sui gradoni del teatro greco, uno sconosciuto dalla faccia da delinquente e dall’odore non particolarmente apprezzabile gli infila nel taschino un foglio, con un numero di telefono. A questo numero, da tassative indicazioni, Camilleri telefona da una cabina pubblica… Dalla cabina telefonica in poi, Camilleri si trova coinvolto in una storia che, nonostante sia solo il contorno del vero contenuto del libro, già di per sé è interessante: il numero di telefono non ha proprietario, e il non-proprietario fornisce allo scrittore le indicazioni per un misterioso incontro, che avviene in un casale sperduto nella campagna ai piedi dell’Etna. Durante il soggiorno in questo casale l’ospite misterioso svela la ragione del suo invito: appassionata lettrice dei romanzi di Camilleri, sua moglie, recentemente scomparsa per una malattia, chiede che allo scrittore, i cui libri hanno alleviato i tanti momenti di sofferenza, sia data la possibilità di leggere, e di fare di questa lettura ciò che preferisce, alcuni scritti inediti di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, che risalgono all’estate del 1607, passata tra Malta (dove Caravaggio si trovava per sfuggire ad una condanna) e la Sicilia. Il poco tempo a disposizione di Camilleri e l’impossibilità di portar con sé il manoscritto, lo portano alla decisione di trascrivere una parte di questi scritti, volta a raccontare, più che l’aspetto puramente biografico, gli incubi di un uomo ormai perennemente in fuga da chi lo vuol catturare, dai propri incubi (un cane che lo insegue per sbranarlo), e dalle proprie osessioni (il sole nero, che gli impedisce di distinguere i colori, coprendo tutto di una coltre scura). Il ricorso ad una presunta trascrizione, l’eterogeneità dei contenuti (tra narrazione di eventi reali e trascrizione dei suoi incubi), rende bene l’idea della fluttuazione di Caravaggio tra la realtà e l’incubo. La narrazione si dipana così, con l’intreccio di due storie: la supposta trascrizione dei diari del Caravaggio, e il mistero intorno a quanto vissuto da Camilleri per il ritrovamento di questi scritti. Si tratta di un divertissement dell’autore, che gioca tanto con il mistero di un diario ritrovato, quanto con la lingua del Seicento. Non è sicuramente il Camilleri da leggere per primo, o per conoscere lo stile di questo scrittore, e non è, senz’altro, un modo per conoscere il Caravaggio.È semplicemente un libro piacevole e ben costruito, che si riallaccia alla capacità di Camilleri di calarsi in un’analisi storica e civile molto precisa, che già ha avuto modo di essere apprezzata in romanzi quali IL RE DI GIRGENTI, PRIVO DI TITOLO, LA BOLLA DI COMPONENDA, IL BIRRAIO DI PRESTON, LA CONCESSIONE DEL TELEFONO, e altri ancora. Libro:
Autore: CAMILLERI ANDREA Titolo: COLORE DEL SOLE (IL) Editore: MONDADORI Pubblicazione: 02/2007 Numero di pagine: 122 Prezzo: € 14,00 Prezzo NicePrice: € 9,80
Come molti lettori, sono caduta vittima della Wilson-mania dopo aver letto Eureka Street, e ho cercato e acquistato Il dolore di Manfred sull’onda di quell’entusiasmo: per la seconda volta la scrittura di Robert McLiam Wilson mi ha sorpreso, commosso e conquistato. Perché è bellissimo, doloroso, e intenso: un libro che ti entra nel profondo del cuore, destinato a restarci per lungo tempo. Manfred è anziano e malato: un dolore forte e tenace si è accampato nelle sue viscere. E’ un dolore contro cui Manfred non vuole combattere, anzi, un dolore che Manfred coltiva con morbosa attenzione. Perché in quella sofferenza vede la speranza della sua fine: Manfred è un uomo senza pace e senza redenzione, incapace di assolvere se stesso e i propri errori. Manfred vuole morire: la sua è una pena intima, profonda, e senza soluzione, segnata dal senso di colpa e dal rimorso. Il suo dolore – quello più implacabile, il dolore della sua mente – si nutre del passato e degli errori fatti, del dolore provocato alla moglie Emma, per troppo amore e gelosia. Un passato, quello di Manfred ed Emma, ebrei, che è fatto di sofferenza e di privazioni, di guerra e olocausto, che ha segnato le loro vite e le loro emozioni. Manfred ed Emma si sono separati, e da vent’anni si incontrano una volta al mese su una panchina del parco. A Manfred non è mai concesso di guardare il volto di Emma. Sarà la narrazione, che ripercorre il loro rapporto a svelare, dolorosamente, il perché di questo rituale patetico e triste, in un continuo intreccio di passato e presente, di dolori fisici e interiori, di passioni e soprusi. Il dolore di Manfred è un romanzo triste, carico di pietà e di emozione: un racconto di grande maturità, nel quale il sentimento dell’amore è analizzato nelle sue morbosità e nel suo autodistruttivo desiderio di possesso, ma anche nella sua dolce e misteriosa eternità. E’ in questa capacità acuta e sottile di indagare e comprendere l’anima e la fragilità umana che ho ritrovato il Robert McLiam Wilson di Eureka Street.L’ho iniziato una domenica mattina continuando a leggere tutto il giorno, incapace di smettere, finché non l’ho terminato. Pentendomi poi perché non ce n’era più…. Inaspettato e commovente.
Libro:
Autore: MCLIAM WILSON ROBERT titolo: DOLORE DI MANFRED (IL) Editore: FAZI
La vedova scalza è un libro difficile, ruvido: è una lettura complessa, dove l’abbondante uso della lingua sarda (non è un dialetto!) non aiuta il lettore ad abbandonarsi alla storia e a perdersi nella musicalità del racconto. Siamo in Barbagia tra le due guerre: la terra è aspra, dura, la gente passionale e violenta. E’ un’atmosfera arcaica, primitiva quella che si respira fin dalle prime pagine. La natura è forte e selvaggia, non concede tregua, con il suo sole, la polvere, i profumi, forti e invadenti. E’ Mintonia, ormai anziana, a raccontare la sua storia sarda, dalla lontana Argentina, tramite una lettera-diario inviata alla nipote amata. Le pagine del diario sono una sorta di intimo testamento di Mintonia, e raccontano una storia di amore e passione, sfida e violenza, rabbia e vendetta. E’ la storia di Mintonia e Micheddu che si amano, giovanissimi, alla faccia dei pregiudizi e delle malelingue del paese, Taculè: perché Micheddu è un balordo, un fuorilegge, un ladro, un assassino. Mintonia è innamorata, ed è soprattutto una donna forte, di valore, una donna che non accetta di essere relegata in casa, senza poter pensare e vivere. Mintonia ha studiato, è innamorata dei libri, che, uno alla volta, e con grande cerimonia, le vengono donati dallo tziu Imbece, il più bel ritratto di tutto il libro. Alla fine la sua eredità di saggezza sarà proprio la sua biblioteca. La natura orgogliosa e forte di Mintonia le farà affrontare tutto, le maldicenze, le cattiverie, la fuga di Micheddu, che, ricercato, si dà alla macchia, e anche l’umiliazione del tradimento, e la tragedia della morte. Nel paese di Taculè, gli sgarri si pagano, e con gli interessi, e Mintonia consuma la sua vendetta con coraggio e fierezza. La vedova scalza è un romanzo inusuale, che si impone per la crudezza delle sue immagini e i virtuosismi del suo stile: lascia nel cuore la sensazione, mitica e fuori del tempo, della terra sarda, il sapore della salvia e del mirto, e la visione selvaggia del mare. Personalmente, ho amato tanto la lettura de La leggenda di Redenta Tiria, il precedente romanzo di Salvatore Niffoi, con la sua struggente poesia da ballata popolare. Ho faticato di più a leggere La vedova scalza, i cui virtuosismi appesantiscono tanto la narrazione. Ci sono però immagini, forti, dalle tinte fosche, che mi rendo conto mi resteranno impresse a lungo, a ricordo di Mintonia e del paese di Taculè: e questo credo sia il dono più grande della lettura, e di un bel libro. Libro:
Autore: SALVATORE NIFFOI Titolo: LA VEDOVA SCALZA Editore: ADELPHI Pubblicazione: 03/2006 Prezzo: € 15,00
Venerdì 23 marzo ore 18,00ATTENZIONE LA PRESENTAZIONE E' RIMANDATA A DATA DA DESTINARSI A CAUSA DI GRAVI E IMPROVVISI IMPEGNI DELL'AUTORELa Libreria internazionale Ulrico Hoepli e la Giulio Perrone Editore sono lieti di invitarla alla presentazione del volume di Patrick BessonMarilyn Monroe non e’ mortaInterviene Valeria Palumbo, Giornalista de “L’Europeo”, introduce Paolo Di Paolo Sarà presente l’autore, Giornalista di “Le Figaro” Stati Uniti, 1989. Il famoso scrittore francese, Patrick Besson, si ritrova in uno sperduto bar nella cittadina americana di Bridgeport durante un viaggio di piacere e di lavoro: è infatti in procinto di scrivere il suo nuovo romanzo, Julius e Isaac. All’improvviso, seduta al bancone del bar, lo scrittore incontra lo sguardo di una donna dalla fisionomia inconfondibile: capelli biondi, espressione nota: Marilyn Monroe. Dopo essersi confidato con l’amico e compagno di viaggio Christian Augé, anche lui famoso intellettuale francese, inizia il viaggio mentale - prima che reale - sulle tracce di quella che sembra essere Marilyn Monroe, o la sua copia esatta. Tornato in Francia, Besson inzia ad indagare sulla morte dell’attrice, episodio in parte ancora misterioso della storia di Hollywood. Le indagini del protagonista cercano di ricostruire, con tono ironico ed irriverente, i motivi della scomparsa di una delle più famose icone del cinema americano. Attraverso una serie di episodi rocamboleschi ed imprevedibili, attraverso i quali l’autore dà sfogo alla sua vena più creativa e divertente, Besson trasporta il lettore nel mondo emotivo e mentale di Marilyn, dando sfogo alle fantasie comuni che da sempre l’attrice suscita. Un libro divertente e sarcastico, a volte lievemente nostalgico, che cerca di dare una spiegazione immaginifica e - soprattutto - più romantica e positiva della presunta morte di Marilyn Monroe. Patrick Besson, di padre russo e madre croata, scrive su alcune delle più importanti testate francesi tra cui Le Figaro, L’Humanité, Voici. “Enfant prodige” della letteratura francese, pubblica il primo romanzo all’età di diciassette anni. Nel 1985 riceve ilGrand prix de l’Academie Française per il romanzoDara e, dieci anni dopo, il premio Renaudot per Les Braban, pubblicando in tutto una quarantina di opere presso vari editori francesi.
Ci sono libri che più di altri ci rimangono attaccati, e che sentiamo più forti, più duraturi, più veri: sono quelli che, spesso, ci fanno più male, entrandoci nello stomaco, facendoci battere il cuore a ogni immagine, a ogni passaggio. E’ il caso de Il buio addosso. Marco Missiroli ha 26 anni ed è un ragazzo raro, di una sensibilità che lascia confusi per la sua purezza, e una penna che sa usare come un pennello: un tratto finissimo, un cenno da cui emana un mondo, delicato e crudele al tempo stesso. E’ la sua scrittura che mi è entrata dentro, ferendomi, commovendomi, lasciandomi la dolcezza di una lettura meravigliosa. Aspettavo Il buio addosso da tanto tempo, inseguendone su Internet gli indizi dell’arrivo in libreria, dopo aver conosciuto e amato Senza Coda, il romanzo d’esordio di Marco Missiroli, che gli è valso il Premio Campiello 2006 per l’ Opera Prima: premio meritatissimo, per un breve romanzo che è una preghiera, un canto, dedicato all’infanzia e alla scoperta del male e del dolore. La mia impazienza, la mia attesa, e le aspettative per la seconda prova narrativa di Marco sono state premiate da un libro prezioso e senza tempo. Il buio addosso è un romanzo maturo e complesso, raccomandato a tutti coloro che amano perdersi nel piacere del leggere. R. è un paese della Provenza, dove la lana è così pregiata da essere magica, da risplendere al buio di un alone leggero, lavorata tra le preghiere delle donne all’alba. E’ un paese che nasce, nella scrittura di Marco, da pennellate di colore, che ne tracciano i contorni, e gli regalano vita: le spighe della lavanda, i ciottoli bianchi striati dei colori che inseguono la luce della mattina, le case, rossa quella del sindaco, bianca quella della bottegaia Marie, gialla quella in fondo alla via delle botteghe, il verde delle vesti delle contadine, il rosso e il blu dei gendarmi collodiani. Un paese bello, semplice, luminoso; un paese che al suo interno conosce la crudeltà più inumana, perché non accetta la diversità e l’imperfezione. Per questo il paese ha una triste tradizione: la polvere dolce addormenta, per sempre, chi non è ammesso a R., i bambini venuti male, nati disgraziati, o gli adulti che non accettano le regole. Poline nasce zoppa, ma il sindaco, suo padre, la salva, accettando il compromesso più doloroso: la zoppa vivrà, ma non uscirà mai di casa, sarà segregata, invisibile, nascosta dagli sguardi, “perché gli uomini guardano” e condannano. Dalla camera con la finestra, poi dalle stanze del campanile del paese, Poline sarà la spettatrice della vita degli altri. Sarà lei a guardare, immersa nel buio che il mondo le ha gettato addosso, il buio della diversità. Con lei Nunù, un ragazzo dalla mente offesa, un altro infelice, un altro diverso che la normalità di R. non vuole accettare, una maschera delicata, commovente, infantile che fa innamorare. La favola scura de Il buio addosso è una storia di buio, ma anche di colore e di luce: che inizia con una matita rosa, il primo regalo che Poline riceve da Gustave, “il maestro delle campane”, insieme alla mantellina rossa, come le bambine normali, quelle che a scuola possono andare. Sarà il maestro, con le sue storie e i suoi disegni, e con la sua umanità, ad aiutare Poline a riempire la sua solitudine con le immagini della sua mente. Poline dipinge i personaggi della sua storia, e della vita di R.: sulle sue tele, e sulle pagine del libro, i colori di Marco Missiroli si moltiplicano, fissandosi sugli occhi, fatti di blu e di giallo, del padre di Poline. Anche lui la guarda, dalla tela che emerge dal buio, ma il suo è un sguardo di amore e tristezza, che guida alla redenzione. E la normalità di coloro che non hanno misericordia verrà segnata e affrontata dalla sfida della diversità, sulla piazza del paese attraversata dai rintocchi delle campane di Nunù. Una storia antica ed eterna, sul buio dell’indifferenza e della diversità che ognuno di noi almeno una volta nella vita può aver subito e, forse, trovato la forza di affrontare. Il buio addosso è, manco a dirlo, un romanzo impeccabile nella meccanica, nella struttura, nell’attenzione ai singoli piccoli dettagli. Ed è soprattutto, un libro da leggere piano, assaporando ogni tratto, ogni immagine, facendo vivere nel proprio cuore, prima che nella propria testa, la storia senza età di Poline. Libro:
Autore: MISSIROLI MARCO Titolo: BUIO ADDOSSO (IL) Editore: GUANDA Prezzo: € 15,00
“Tutto comincia con un vecchio giudice che vive in una dimora cadente di Kalimpong, alle falde dell'Himalaya orientale, col suo misero cuoco senza neppure un nome, e una cagnetta, Mutt, che del giudice sembra l'unico amore. Ma questo terzetto in apparenza dimesso diventa, con l'arrivo della nipote del giudice, Sai, l'epicentro di un terremoto narrativo le cui onde si propagano in ogni direzione e raggiungono ogni latitudine: dalla New York degli anni Ottanta, dove il figlio del cuoco lavora in una sfilza di ristoranti mandando al padre notizie sempre più allarmanti sulla sua avventura americana, alla Cambridge d'anteguerra, dove il giudice ha frequentato l'università, all'Unione Sovietica, in cui si è interrotto il sogno astronautico del padre di Sai. E nella stessa Kalimpong, mentre si concretano i presagi della guerra col Nepal, due anziane e un tempo agiate sorelle istruiscono Sai in privato e ci introducono nel club più esclusivo della città, forse il più scalcinato della tradizione britannica.” Eredi della sconfitta scritto da Kiran Desai, figlia d’arte – la madre è Anita Desai autrice tra gli altri di Fuoco sulla montagna e Digiunare, divorare – e con questo romanzo la più giovane vincitrice del Broker Prize 2006. Kiran Desai , nata in India e trasferitasi adolescente negli Usa, ripetendo l'itinerario gia' compiuto a suo tempo dalla madre Anita, proprio sui sotterranei e invisibili collegamenti che esistono tra questi due mondi (e culture) scrive un romanzo elegante, ben costruito eppure con una sua forza epica e metaforica che avvince. Eredi della sconfitta è un libro che sa di fango, di umido, di povertà e di ineluttabilità della vita e della condizione umana. Autore: DESAI KIRAN Titolo: EREDI DELLA SCONFITTA Editore: ADELPHI Prezzo: € 19,50
Un adolescente con una madre fragile e squilibrata, vanesia, e aspirante poetessa, un padre alcolizzato che con il figlio condivide solo il rito della spazzatura serale, una famiglia quasi adottiva al limite della follia: in Correndo con le forbici in mano, Augusten Burroughs racconta la sua iniziazione all’amore e alla vita adulta in un ritratto familiare paradossale di grandissima inventiva e humor nero. Un’autobiografia esilarante e spudorata, incredibilmente divertente. Perché come recita l’epigrafe che apre il romanzo, Cerca il ridicolo in tutto e lo troverai (Jules Renard). Augusten è un ragazzino decisamente fuori dal comune: sogna di diventare parrucchiere, e fa esperimenti su chiunque in casa, tiene un diario sul quale registra le elettive affinità e la grande simpatia con l’eroina Brooke Shields, ama i gioielli che lucida con precisione maniacale, e i pantaloni sintetici ma solo se hanno la piega perfettamente stirata. Ipersensibile, igienista ed esteta, quando i suoi genitori decidono di divorziare, viene affidato dalla madre instabile al suo psichiatra, l’eccentrico ed erotomane dottor Finch. Così Augusten, in perfetta giacca blu, impeccabile e pettinatissimo, fa il suo ingresso in casa Finch, una malandata villa rosa, e incontra la sua nuova famiglia, estrosa, disordinata, e psicotica. In questa casa i bambini giocano con l’elettroshock di papà, mentre i grandi vagano tra avanzi di cibo e palline dell’albero di natale anche in piena estate, masticando biscottini per cani, e ogni problema offre l’occasione per consultare gli oracoli religiosi con la pesca alla Bibbia - che aperta a caso dà risposte su tutto – o per riunioni di analisi in bagno di fronte alle profetiche cacche paterne. Augusten si adatterà a tutte le stranezze dei Finch, fingendo anche un suicidio con la complicità del dottore, per marinare la scuola. Tra eccentrici inquilini, storie d’amore gay, e tinture per capelli, Correndo con le forbici in mano parla della difficile ricerca di se stessi, della costruzione di un equilibrio, sempre e dovunque, della voglia di libertà, e del senso di provvisorietà di chi sta rincorrendo la propria vita cercando di attribuirle un senso. Correndo, con le forbici in mano, e andando avanti. C’è chi questa corsa riesce a farla adattandosi alle follie della vita, e chi rimane indietro. Augusten Burroughs ha rincorso la sua identità, rischiando e azzardando, e l’ha trovata in una magnifica carriera da scrittore. Correndo con le forbici in mano è la sua storia: finalmente un romanzo di formazione sfrontato, cinico e divertente. Autore: BURROUGHS AUGUSTEN Ttitolo: CORRENDO CON LE FORBICI IN MANO Editore: ALET EDIZIONI Prezzo: € 14,00
Tel kedar, cittadina sperduta nel deserto, anonima e ordinaria. Un posto tranquillo, dove tutti sanno tutto di tutti e non accade mai nulla di fuori dall'ordinario. E' qui che vivono Noa e Theo. Una giovane donna ed un uomo maturo che si sono incontrati in un viaggio in un paese lontano e si sono uniti in un legame profondo ma prudente, ove nessuno osa sconfinare oltre ciò che l'altro si illude di poter tenere per sè con un timido riserbo, anche se l'altro è un libro aperto già completamente svelato. Una vita che scorre sui binari dell'ordinario viene colpita all'improvviso da un evento fuori dal comune. Immanuel Orvieto, un ragazzo che frequenta la classe ove insegna Noa, viene trovato morto. Una morte legata al mondo della droga da cui Immanuel si era lasciato soggiogare. Noa, che a malapena ne ricorda il viso, viene convinta dal padre del ragazzo ad aiutarlo a costituire una casa di accoglienza per ex toossici in memoria del figlio. Forse si sta facendo un po' troppo chiasso per l'ordinaria cittadina di Tel Kedar. Noa accetta più perchè si sente in debito nei confronti di Immanuel, di cui aveva capito così poco, che per reale convinzione. Theo, che sa benissimo quanto odioso sarà per Tel Kedar e la sua ordinaria routine un proposito del genere, non abbandona mai Noa, benchè non approvi e lei non gli abbia nemmeno chiesto un parere. Nonostante ciò, con la pazienza di chi sa tenersi in disparte ad osservare, Theo si prenderà carico di questa faccenda di cui Noa ad un certo punto parrà disinteressarsi del tutto. Senza che lei gli chieda aiuto e senza che lui le faccia notare quanto da sempre la stia aiutando. L'epilogo di questa storia vedrà un modo meno sconvolgente per ricordare Immanuel Orvieto. Semplicemente una scuola intitolata alla sua memoria. Tante incomprensioni, silenzi e lavoro per nulla dunque? No. Quel che si ricava è una grande certezza. Un amore profondo non si tira indietro nemmeno davanti a ciò che non capisce e condivide. E l'altra faccia di questo amore è la forza di abbandonarsi totalmente all'altro quando si comprende che essere inermi davanti alla persona amata è l'atto più coraggioso di cui si possa essere capaci. Autore:OZ AMOS Titolo: NON DIRE NOTTE Editore: FELTRINELLI Prezzo: € 15,00
Anime alla deriva... mi tuffai a capofitto nel mare,e di conseguenza ho acquisito una più profonda conoscenza dei fondali, delle sabbie e delle rocce, che se fossi rimasto a riva, sul prato, a fumare una stupida pipa, e a prendere un tè accompagnato dai consigli sensati.John Keats Un libro che inizia dalla fine, con un elegante uomo settantenne che ha appena assassinato la moglie, alla luce del tramonto in un magnifico castello in Cornovaglia. Poi si torna indietro, di quasi 50 anni, e James Farrell, la voce narrante, violinista di successo, ripercorre la sua vita nell’alta società inglese. Lo fa rivedendosi 22enne, in conflitto con i genitori che vorrebbero per lui una professione più conveniente, e combattono il suo delicato animo da artista: l’incontro con la misteriosa e fragile Ella Harcourt, fidanzata senza amore, e quello con la cugina di lei, Sarah, dal raffinato e altero animo inglese, immergono James in una nuova dimensione di emozione e passione, che artisticamente gli dona talento e ispirazione. Per lui arriveranno i favori del pubblico e una promettente carriera. Intanto, però il fascino imperscrutabile delle due donne lo trascina in una storia di disgrazie, pazzie e dolori che risale a tanto tempo addietro, e agli scenari incantevoli e burrascosi della Cornovaglia. Una tradizione oscura avvolge i destini della famiglia Harcourt e James ne è coinvolto fino a perdersi: la sua storia, segnata dall’amore, ma anche dalla colpa, diventerà anche una vicenda di tradimenti, falsità, e punizioni. Anime alla deriva è costruito su una trama audace, accattivante, che ti incatena dalla prima pagina e non ti molla, e che non si può raccontare, per non rovinare il piacere della lettura e dell’emozione. Il mondo elitario dei rampolli londinesi accoglie chi legge nei suoi salotti, nell’eleganza dei suoi the e delle sue feste: un’atmosfera quasi atemporale, che ti porta molte volte a stupirti del fatto che la storia è ambientata negli anni novanta. A tal punto la tradizione immobile e immutabile dell’alta società inglese contemporanea può apparire ottocentesca. Un vita di privilegi e grandi sofferenze prende vita tra le eleganti residenze di Londra e il grandioso Seton Castle di Cornovaglia, ma anche nei café bohemien che James frequenta insieme all’amico Eric tra gli artisti di Praga, e nella campagna francese. Anime alla deriva è una storia intrigante e seducente che nel 1999 segnò l’esordio letterario dell’allora giovanissimo Richard Mason, con un grande successo di pubblico e la traduzione in 22 lingue in tutto il mondo. Un libro sui grandi temi della gelosia e del peccato, scritto con grande raffinatezza e cura analitica nella descrizioni psicologiche dei sentimenti e delle emozioni, attraverso lo sgomento di un uomo, che giunto alla vecchiaia, scopre la verità più cinica e sconvolgente, che gli spazza via ogni certezza rassicurante e lo costringe a riesaminare dolorosamente la sua vita e il suo passato. Anime alla deriva è un romanzo antico e crudele, immediato e poetico insieme, la cui eleganza sorprende per la giovane età dell’autore, la cui vicenda appassiona e lascia attoniti, la cui meravigliosa complessità fa chiudere il romanzo con il respiro ancora trattenuto per l’emozione, e spinge senza dubbio e senza indugio ad andare a leggere anche il secondo romanzo di Richard Mason, Noi.
Una storia alla Charles Dickens nel cuore di Bombay. Il bambino con i petali in tasca è una favola triste, perché parla di infanzia abbandonata e di sofferenza, ma anche commovente, perché insegna a credere ancora nell’innocenza e nel sogno. Chamdi ha 10 anni, e ha sempre vissuto, protetto e nutrito, nell’orfanotrofio alle porte di Bombay. Una Bombay ferita e martoriata dagli scontri politici e religiosi tra induisti e musulmani nei primi anni 90. Non conosce nulla delle sue origini e del suo passato, ma ne è ossessionato. Chamdi è un ragazzino sensibile e sognatore, incantato dai colori delle bouganville che ricoprono i muri dell’orfanotrofio: sono colori così belli e puri che con loro non si conosce il dolore e la tristezza. Il giorno in cui viene annunciata la definitiva chiusura dell’orfanotrofio, il cui edificio è stato messo in vendita, Chamdi capisce che è arrivato il momento di affrontare il mondo da uomo: costringe la direttrice a rivelargli la verità sulla sua identità, e quando scopre di essere stato abbandonato lì dal padre, scappa di notte – con le tasche piene di petali – per andare a cercarlo. Il mondo che lo accoglie fuori non ha però i colori delle bouganville, ma gli odori e i rumori dei bassifondi di Bombay. Una realtà di mendicanti, violenze e povertà, tanto lontana dai sogni di Chamdi, che nella sua mente di sognatore si è dipinta l’immagine di Kahunsha “ la città senza tristezza”, dove non esiste miseria o infelicità, e i bambini possono giocare sereni in strada. Sumdi e Guddi sono fratello e sorella, come lui soli e disperati, alla mercé del capo della delinquenza locale, Anand Bhai, che assolda anche Chamdi nel suo squallido e storpio esercito di mendicanti. Tra i tre ragazzini si stringe in poche ore un rapporto di solidarietà e fiducia, basato sulla lotta per la sopravvivenza e il sogno della fuga da Bombay. L’attentato a un tempio, nel quale in molti perdono la vita, segnerà la svolta nella vicenda di Chamdi e dei suoi compagni. Il bambino con i petali in tasca è un piccolo Oliver Twist indiano, dolce e intraprendente, che attraversa le strade sporche e malfamate di Bombay protetto dalla sua innocenza e dal suo sogno di purezza. Una storia che non nasconde nessuno degli orrori della delinquenza urbana e dello sfruttamento infantile, vero a Bombay come altrove: dell’India c’è tutta la realtà, pittoresca e terribile, sacra e violenta. I tre ragazzini protagonisti sono incantevoli: Chamdi con le sue costole appuntite, e l’occhio capace di cogliere dovunque i colori di un fiore, Sumdi, sfrontato e superbo, un vero combattente da strada, e la piccola Guddi, con il suo abito marrone, i braccialetti arancio e la faccia sporca, capace di annullare tutto il brutto del mondo con la sua voce, che canta la bellezza e la purezza dell’amicizia, e lascia a chi legge il dolce sapore della speranza.
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