Nella
complessa e articolata nuova raccolta poetica di Donatella Bisutti, Rosa
alchemica, pubblicata recentemente da Crocetti,
emerge, con incisiva evidenza, una scrittura germinante dall’analisi della
visione offerta allo sguardo. “Scrivere
si può soltanto dopo, quando lo sguardo sia stato interamente generoso,
disinteressato, e la mente non si sia posto alcun compito” così l’autrice
nella sezione Diario da Saorge.
Uno sguardo
che sa cogliere l’essenza delle cose e che avidamente indaga per leggere nel
libro della natura le leggi e le manifestazioni che rivelano, come immagini speculari,
i destini umani. E’ un procedere nell’individuazione di tracce rivelatrici di
significati profondi attinenti all’uomo: la struttura poetica ne diventa
epifania. E’ un esercizio continuo dello sguardo che si fa sempre più
penetrante “Non c’è notte così buia che,
una volta che ci si abitui all’oscurità, non abbia chiarore.” e “Nel fondo del nostro occhio il mondo
rimpicciolisce fino a diventare un punto, che è Dio.” e ancora “..balzano in avanti come se venissero incontro
all’occhio, asciugandosi di luce. Guardare è come stendere una mano a toccarli.”
e infine “Sul pozzo del chiostro, la
Croce. La guardo così intensamente che la vedo vibrare. (…)”. Lo sguardo è
alla luna, alle stelle, al cielo notturno, al firmamento che acquistano via,
via significati simbolici diversi sempre in dilatazione cosmica. Il tempo è
infinito in uno spazio infinito. La scrittura aiuta ad accedere a una
dimensione contemplativa e meditativa che coglie attraverso l’osservazione
amorosa dello sguardo “ la quantità di
eternità che una cosa possiede.”
Attraverso i
grandi temi della natura e dell’amore rivive il mondo classico con i suoi miti.
L’autrice
canta il profondo dell’esistenza nella sua eternità panica. Il mare, le onde,
il vento, la luce vibrano in un’atmosfera gloriosa e leggendaria. Vibrazione
che si espande dalle cose, dalle forme naturali e diventa parola evocante
metafore in forma favolistica, fluendo in simbiosi con l’eterno flusso cosmico.
E l’atto poetico si rivela una misteriosa
incarnazione proprio come l’eterna sopravvivenza, riconosciuta nel ciclo
naturale cosmico innestata dalla rinascita del seme e nella correlazione
segreta tra visibile e invisibile. La tensione classica investe anche la forma
che rivela un destino da affrontare interamente, con fierezza e determinazione.
Il tragico e l’universale sono sempre sottesi alla dimensione del dire: così il
dolore emerge costante dal piacere in un eterno confronto di perdita. “Quando due anime l’una all’altra vanno /
così vividamente che d’un tratto / si parla all’altro come a sé e luce ha il
mondo- (…)” con un incipit di grande eleganza e forza letteraria, quasi
dantesca, essi diventano versi emblematici per il respiro spirituale e unitivo
tra personale esperienza e universale sentire. I miti di Orfeo, Euridice,
Persefone, Eros vivono ancora: il presente e il mito sono in dialogo continuo
per accendere di verità eterne la parola che l’amore ha nutrito con immagini di
potente visionarietà.
La poetessa,
nelle note alla raccolta, definisce l’esperienza poetica un “cammino verso una dimensione che coniuga
l’immediatezza di un’esperienza individuale con l’atemporalità di una
conoscenza sovrapersonale, dimensione in cui credo la poesia trovi il suo senso
più appagante e profondo”. La
sezione Canti Atlantici è un elegiaco
inno all’origine oscura, primitiva della nostra vita. Con un carattere quasi
litanico, è evocata la fantastica continuità e condivisione tra le forme di
specie vegetali e animali e i mostri del nostro sé inconscio che appaiono con
la sensualità dei colori, degli odori, delle luci e di mortifere ombre, sempre
in bilico tra vita e morte, realtà e surrealtà. “Ma nasce dentro di me un diverso canto / il canto dell’anima rimasta
senza guscio / della materia spirituale messa a nudo / (…) il canto dello
spazio vuoto.” E in questo vuoto prende spazio a sorpresa un inno alla
gioia dopo abissi di solitudini e smarrimenti nell’infinitudine cosmica. “Che soprassalto / che trasalimento / che
sommovimento di gioia / l’efflusso di luminosi granelli / che la trasmutazione
sparge / nella gloria dei mattini . (…)”. E’ l’inno alla gioia per l’essere
vivi nell’ode alla luce del Canto
d’immortalità. La visione di specchianti granelli di sabbia si estende allo
spazio, al tempo, diventa immagine di luce diffusa sulla rena del giorno,
rendendo consapevoli dell’eternità del quotidiano. E questa consapevolezza
diventa il dono spirituale della vita.
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