Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Da Riccardo Dall'Osso, architetto e docente di Composizione Architettonica e Urbana all' Università degli studi di Catania e di Pavia, firma un interessantissimo volume dedicato alla storia dell' Esposizione Universale e all' Expo 2015 di Milano. Frutto di una ricerca ad ampio raggio condotta dall'autore in collaborazione con un gruppo di ricercatori, il volume si propone innanzitutto di partecipare al dibattito internazionale sull''architettura e sul ruolo futuro dell'evento Expo. Il saggio si sviluppa lungo un percorso che, dopo alcune riflessioni introduttive, si dipana dall'esposizione di Londra 1851 a Shangai 2010, proiettandosi poi verso Miano 2015. Un libro che propone un approccio architettonico e morfologico alla trasformazione della città. La tesi espressa è quella di rilanciare il ruolo dei grandi eventi nel rinnovarsi degli spazi urbani.
DELL'OSSO RICCARDO
EXPO DA LONDRA 1851 A SHANGAI 2010 VERSO MILANO 2015
Editore: MAGGIOLI EDITORE
Pubblicazione: 05/2008
Numero di pagine: 294
Prezzo: € 49,00
EAN: 9788838742729
Vi propongo di dare almeno una sbirciatina a Oltre la città - Pensare la periferia, Edizioni Cronopio, 2005, € 17 e vorrei iniziare il suo racconto partendo proprio dalla foto con cui si apre la bella introduzione di Attilio Belli, curatore dello stesso. Troviamo il classico condominio enorme, la tipica struttura che ognuno di noi classificherebbe come edificio periferico, circondato da pochissimo verde e costeggiato da un grande arteria stradale che ne delimita i confini. L’occhio però corre verso un particolare volutamente mantenuto nella inquadratura dal fotografo: un cartello stradale con la scritta “USCITA” ed una freccia sottostante che conduce lo sguardo fuori dalla foto stessa verso... Già verso dove.
Forse verso la parte di testo che tra poco ci metteremo a leggere, oppure verso un luogo non ancora ben individuato di cui, forse, a fine libro riusciremo a scorgerne l’ubicazione. In ogni caso è indice di un movimento, di un attivarsi verso un qualcosa. Questo in effetti mi è parso, a parte qualche classica veduta, ciò che è emerso dagli atti del convegno (convegno tenutosi presso l’istituto Grenoble di Napoli il 31.1.2005 per iniziativa corso di laurea in architettura Federico II Napoli) che costituiscono il contenuto di questo libro.
Il concetto di fondo che emerge sembra scaturire dalla concezione classica della periferia, intesa quale spazio dell’abbandono, spazio delimitato dell’incoerenza, del degrado, dell’assenza, della segregazione che si contrappone e circonda il centro della città, distante e definito. Da subito si decide, però, di percorrere nuove strade.
Si focalizza così come non sia necessario costruire una rappresentazione delle periferie a partire da un quadro normativo, bensì quanto sia importante riflettere sull’eredità urbana e sugli errori compiuti in passato, che possono essere superati solo a partire dall’ ascolto delle periferie, dalla nuova percezione di periferico: gli altri spazi, i controluoghi, i territori della circolazione e dei flussi, le massime velocità, lo spazio diffuso.
Il periferico appare oggi come una realtà articolata, come spazio dell’attraversamento di quei loghi, a volte contestati ma il più delle volte sovvertiti, creando centralità periferiche e periferie centrali, configurandosi come un dentro e un fuori della città contemporanea.
Bisogna domandarsi quindi, quali sono le potenzialità del periferico e se è possibile andare oltre le politiche del ripristino (rinnovo, rigenerazione, riqualificazione).
La periferia va tramutata da spazio del disfacimento, in spazio del rifacimento della città diventando il collante per l’innesto di una cultura alternativa, sul quale dovrebbe, a detta degli autori, insediarsi la nuova urbanistica orientata alla costruzione di strategie di lungo periodo e rivolta nella direzione di un “fare con la città” da intendersi come la riconquista di un’azione sulla città che muova dallo spazio periferico, puntando ad armonizzarsi con i territori e le popolazioni che vi abitano.
Dopo la segnalazione della bella opera su Calatrava mi sento di segnalarvi anche l'opera relativa a Renzo Piano, anche questa in mega-formato e con bellissime fotografie. Su Archimagazine dalla sua biografia si legge: "Personalmente trovo che la mia voglia di esplorare sentieri non battuti vada perfettamente d’accordo con la mia riconoscenza nei confronti della tradizione. Forse questo è un tratto europeo, forse è specificatamente italiano. Certamente è l’eredità di una cultura umanista". Nato a Genova il 14 settembre 1937, laureato al Politecnico di Milano nel 1964, dopo le esperienze presso Franco Albini, Marco Zanuso, Louis Kahn e Makowskj, inizia l’attività progettuale con una serie di studi sperimentali sulle strutture spaziali a guscio e sui sistemi costruttivi innovativi, avendo come riferimento l’amico e maestro francese Jean Prouvé. Dal 1971 inizia la collaborazione con Richard Rogers, nella società Piano&Rogers, e dal 1977 con Peter Rice, con la Piano&Rice Associates: è il periodo del Centre Georges Pompidou, uno dei progetti più discussi degli ultimi trent’anni. Prima di elaborare proposte su larga scala attraverso interventi di notevole effetto, la fase di studio sui centri storici e sul recupero del paesaggio, da Otranto all’isola di Burano fino ai progetti per il porto antico di Genova, per Rodi, per La Valletta, per Pompei e per i Sassi di Matera, dimostra l’interesse e la sensibilità verso un approccio operativo non esclusivamente high-tech, come molta critica mal informata tende ad etichettare e a liquidare una produzione architettonica molto più complessa. [...] Al di là degli incarichi di rilievo e della realizzazione di numerosissimi progetti, l’idea di bottega, di ricerca e di approccio al lavoro attraverso tecniche tradizionali quali il disegno a mano, lo sviluppo di modelli di studio, la creazione di make-up in scala 1:1 costituiscono un naturale sistema di organizzazione ancora funzionale, pratico e legato a operazioni colte di intendere un mestiere svincolato dall’accademia e da supporti esclusivamente teorici di intendere l’architettura. "Quando mi chiedono come sarà la città del futuro, io rispondo: spero come quella del passato." JODIDIO PHILIP RENZO PIANO BUILDING WORKSHOP 1966-2005 Editore: TASCHEN Prezzo: € 99,99
Vi segnalo che da qualche settimana è arrivato in libreria una bellissima opera dedicata a Santiago Calatrava che raccoglie e racconta soprattutto con materiale fotografico il lavoro di questo grande architetto [in realtà è anche scultore e pittore e sostiene che l'architettura sia un combinare tutte le arti in una sola ]. Wikipedia: "Lo stile unico, creativo di Calatrava combina una sorprendente concezione visuale dell'architettura all'interazione armoniosa con i rigidi principi dell'ingegneria; i suoi lavori spesso sono tratti dalle forme e dalle strutture che si trovano in natura. Il suo lavoro ha elevato il design di progetti di ingegneria civile a nuovi livelli."
JODIDIO PHILIP (ED.) SANTIAGO CALATRAVA COMPLETE WORKS 1970-2007 Editore: TASCHEN Numero di pagine: 536 Prezzo: € 99,99
Autore: BASSI ALBERTO Titolo: DESIGN ANONIMO ITALIANO OGGETTI COMUNI E PROGETTO INCOGNITO Editore: ELECTA MONDADORI Prezzo: € 40,00 Il design anonimo è un tema poco trattato nella letteratura storica e critica, soprattutto in Italia. In un momento in cui viene data grande rilevanza alla “firma” del designer o del brand, più in generale in una fase di trasformazione delle merci estetiche contemporanee, meritano di essere sostenute e proposte ad exempla le “normali” virtù del design anonimo. Lo fa Alberto Bassi, docente di Storia del design all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV), in questo libri, concentrandosi sui prodotti italiani che, per le loro qualità, segnano la storia delle imprese del nostro paese e sono in produzione da anni. Si tratta di oggetti capaci di restituire la storia da cui provengono e il contesto in cui si collocano: cultura del progettista e dell’impresa dunque e momento tecnologico o sociale. La maggioranza degli oggetti che quotidianamente utilizziamo sono “anonimi” dal punto di vista del design, sono cioè no-name e no-brand. Il loro punto di forza non è né l’ideatore, né il produttore, quanto l’idea che questi oggetti rivelano; il fatto di costituire la soluzione a un problema e offrire piacevolezza fisica o formale. Tali prodotti anonimi (e consideriamo solo quelli rilevanti per qualità e progetto) sono scelti per le loro esplicite proprietà: sono frutto di una necessità, di un “dover essere” e dotati di una propria eccellenza formale, che ne ha fatto dei riferimenti imprescindibili nella storia degli artefatti. Inoltre, a ben guardare, continuano ad essere fra gli oggetti di uso più ricorrente - dai prodotti “usa e getta” alla moka, dai mobile phone ai computer ai Post-it… - L’”inventario” del design anonimo italiano identifica oltre settanta oggetti, dall’età preindustriale ai nostri giorni (la moka Bialetti, l’ Ape Piaggio, le sedie di Chiavari, il borsalino, la tuta, il tram di Milano, la tripolina, la pentola a pressione, il gelato, la coppa del nonno e il Campari Soda…), che configurano la prima sistematica ricognizione di questi prodotti nel nostro paese.
L'ultima fatica letteraria di Alain de Botton , Architettura e felicità, indaga un aspetto centrale dell'esistenza di tutti gli esseri umani: le case, le città, la geografia dei luoghi che abitiamo e in cui ci muoviamo, la necessità che abbiamo di sentirli belli e accoglienti. E lo fa partendo da alcune semplici domande: Che cosa rende una casa bella? E perché ciò che per alcuni è bello, per altri è invece inguardabile? Ed è ragionevole passare parte del proprio tempo a cercare di rendere più belli i luoghi in cui viviamo? E, soprattutto, i luoghi, gli edifici, le stanze e gli uffici possono renderci più o meno felici? Se riteniamo che la qualità dell’ambiente in cui viviamo sia fondamentale per il nostro benessere, non possiamo non interrogarci sul rapporto tra architettura e felicità. Ma da dove cominciare? Oggi, a differenza dei secoli passati, siamo consapevoli dell’impossibilità di individuare una misura del bello assoluta e riproponibile all’infinito, senza tener conto delle tradizioni locali e della sensibilità dei committenti. Se le ville palladiane rappresentano un ineguagliato modello di equilibrio architettonico, una recente villa costruita a Londra secondo gli stessi canoni suscita più sconcerto che ammirazione. E non erano affatto contenti i signori Savoye, per cui Le Corbusier progettò la famosa villa di Poissy: il capolavoro dell’architetto modernista si rivelò ben presto inabitabile. Attraverso una ricca casistica e insieme facendo ricorso alla verve del narratore, De Botton indaga, nella molteplicità delle sue sfaccettature, l’influenza del design sull’essere umano, design che suscita sensazioni e riflessioni, modifica l’umore, fornisce stimoli al miglioramento. Imparando a ritrovare in edifici e oggetti doti e qualità presenti anche nell’uomo avremo dunque l’occasione di conoscere meglio noi stessi. È questa, dopotutto, la fonte della vera felicità. Alain de Botton presenta il suo ultimo libro dicendo che rappresenta "un mio piccolo contributo per rendere il mondo più bello" e arriva a dire che "lo stile rappresenta tutto ciò che ci manca, ciò cui aspiriamo per essere completi e felici». "L’architettura ci circonda sempre, se la capiamo — dice il 37enne autore — potremo trovare la vita più interessante. Il mio libro cerca di dire quale architettura è buona e quale cattiva. In molte città del mondo si vedono infatti troppe cose sbagliate, basta passare 10 minuti a Milano o Londra per capire quanti disastri architettonici ci circondano, io mi chiedo semplicemente il perché e cerco delle risposte». Infatti Alain de Botton ritiene che Milano manchi di pianificazione: "Ci sono begli edifici, ma sono sparsi, non c’è omogeneità". The Indipendent del libro scrive: "C’è un che di straordinario in Alain de Botton. Combatte la guerra contro il conformismo con armi e tattiche tutte sue: è erudito ma non minaccioso, ha curiosità e sensibilità. Guida il lettore verso la piena comprensione delle cose, miscelando la giusta dose di forza espressiva e moderazione. Architettura e felicità possiede tutti gli elementi di questa formula vincente."
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