Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
I libri di Barbapapà, recentemente ristampati dall'edizioni Il battello a vapore, sono considerati una delle prime opere portatrici di messaggi ecologisti. Barbapaè nacque dalla fantasia di due autori, l'architetto e designer francese Annette Tison e il professore di matematica e biologia americano Talus Taylor, marito e moglie, che all'epoca risedevano a Parigi. La loro creazione - avvenuta piuttosto casualmente in un bistrò parigino - viene fatta risalire al 1969, ovvero sull'onda del maggio francese che scosse le coscienze giovanili di un'intera generazione. Le serie a fumetti furono pubblicate dapprima in Francia ed in seguito tradotte in tutto il mondo. Una curiosità, il nome del protagonista deriva dall'espressione francese "Barbe à papa", che significa zucchero filato. Qui trovate tutti i libri di Barbapapà e famiglia
Il cielo di Hounslow, sobborgo periferico a ovest di Londra, ha un colore cupo, senza profondità: sembra respingere le preghiere, costringendole grevi a rotolare verso il basso, verso il deserto di cemento della metropoli. E' il cielo d'acciaio di Hardjit, Amit, Ravi e Jas, banda di "rudeboy" figli, o figli dei figli, di immigrati indiani in Gran Bretagna. La loro storia è la storia di Londonstani, romanzo che è diventato un caso letterario in Inghilterra. A raccontare le vicende di questo firmamento senza stelle, di questo vuoto riempito soltanto dal frastuono degli aerei che atterrano sulle piste della vicina Heathrow, è la giovane penna di Gautam Malkani, trentenne giornalista del Financial Times e promettente scrittore alla sua opera prima. Gautam ricorda di essere rimasto impressionato, ai tempi dell'università, da "quanti ragazzi si definissero londonstani. I'm a londonstani, I'm a londonstani, ripetevano. Cioè, non sono né indiano né British, sono fiero di essere un londinese". Quando i giornali, cavalcando la temibile tigre dell'11 settembre, presero a dare un'accezione negativa alla parola, legata al fondamentalismo islamico, Malkani decise che era tempo di fissare il significato del termine mettendolo per iscritto, attraverso un romanzo. Il risultato di questa pulsione è, appunto, Londonstani. Al di di là del tema dell'integrazione etnica, della contrapposizione tra i rudeboys indiani da una parte ed i coconut bianchi dall'altra, delle schermaglie tra gli stessi ragazzi desi e le altre minoranze, come pakistani e neri, è sorprendentemente il discorso più squisitamente linguistico a spiazzare il lettore: da subito vi è una tale esplosione di gergalità, sconcezze semantiche, labirinti lessicali da "ghetto" che non si può evitare di considerare il linguaggio usato da Malkani quasi una neo-lingua. Per costruire questo strumento espressivo, il giovane scrittore ha attinto alle interviste effettuate durante il suo lavoro di tesi per l'università, una ricerca sui modelli di mascolinità e etnicità a Hounslow. Il risultato è certo sconcertante per gli accademici, tanto da richiedere un glossario a fine volume, ma sorprendentemente capace di evocare una realtà che si situa a metà tra una segregazione volontaria e un'emarginazione reale. Le figure dei ragazzi della banda di Hounslow si stagliano attraverso questi lampi linguistici, andando a riempire uno scenario periferico osservato con la coda dell'occhio, sfondo quasi invisibile di vicende costruite per apparire emblematiche. Il risultato finale ha un suo fascino grezzo, incompiuto: non un nuovo "Trainspotting", come qualcuno ha suggerito, ma un epopea desi in salsa gangsta-rap, un racconto sulle contraddizioni del melting-pot, un processo che non può dirsi mai definitivamente concluso, nel suo ondivago mutare da una generazione all'altra.
MALKANI GAUTAM
LONDONSTANI
Editore: GUANDA
Pubblicazione: 06/2007
Numero di pagine: 343
Prezzo: € 16,00
EAN: 9788882469627
Martedì 26 giugno si è tenuto alla Triennale di Milano l’ultimo dei sei incontri curati da Philippe Daverio, “ Daverio e contemporaneamente”, svoltisi tra Roma e Milano, il cui scopo era quello di discutere sul futuro e sul presente dell’arte contemporanea, coinvolgendo anche utenti che non sono operatori del settore.
L’incontro di martedì, intitolato “ Non comprate l’arte, rubatela!”, si è svolto nella rilassante cornice del giardino della Triennale, tra le mucche della cow parade, messe all’asta per beneficenza il giorno prima, e prendeva le mosse dall’idea di poter scovare artisti di talento prima che speculazioni legate alla moda ne facciano lievitare il prezzo di mercato, rendendone le opere inaccessibili ai più.
La conversazione si è vivacemente articolata tra Daverio e i suoi ospiti, Angela Vattese, storica e critica, Gino di Maggio, storico promotore di una delle ultime avanguardie, Fluxus, e Jean Jacques Label, artista e critico.
Si è partiti dalla domanda se sia sensato per il futuro investire capitali nell’arte; questo dato di partenza ha subito fatto nascere un altro quesito: l’arte deve essere passione o speculazione?
Gino di Maggio, data la sua esperienza, ha subito fatto notare come sia stato facile, in tempi non remoti, acquistare pezzi d’arte contemporanea a prezzi modici, che poi sono lievitati con gli anni, dimostrandosi lungimiranti investimenti. Questo meccanismo si basa su una delle grandi bugie delle quali si nutre il mercato dell’arte, e ciò sul fatto che ci sia una correlazione tra il valore commerciale e quello artistico di un’opera. Sempre più spesso vengono attribuiti elevati valori commerciali ad opere che, artisticamente parlando, non valgono nulla, intendendo con la parola “artisticamente” la capacità di un’opera di smuovere e sconvolgere il nostro intimo, la nostra emotività; questa, secondo Label, è l’unica cosa umana che rimane all’arte, e in genere alla vita, in questo nostro mondo capitalista. Se l’arte perde questa sua capacità di smuovere l’animo umano, l’unica via che le rimane per emergere è affidarsi alla moda.
Se è vero che le altre arti, come la letteratura, la musica e la poesia sono morte, come viene dichiarato da molti, allora l’unica arte che sopravvive è l’arte visiva, anche grazie alle nuove possibilità tecnologiche che la rendono spesso un mix di grafica, fotografia e anche produzione video.
L’arte è diventata con gli anni un bene di lusso, per legittimare un mercato che si sta sviluppando in questa direzione in maniera sempre più fiorente; ma l’artista non dovrebbe essere tale solo perché vende molto. Già Leonardo da Vinci, cinquecento anni fa, affermò che la pittura è cosa mentale, e se non è tale allora non è arte, ma solo merce. Ne consegue che teoricamente l’arte non dovrebbe avere niente a che fare né con la moda né con il mercato, anche se questo non sembra ancora possibile nel nostro sistema capitalista, in cui abbiamo esempi di uomini che avendo il controllo di uno dei più importanti musei al mondo e allo stesso tempo di una delle più prestigiose case d’asta, si trovano pertanto nella condizione di poter tranquillamente comprare opere di artisti sconosciuti a prezzi stracciati, esporle nel proprio museo per farne aumentare le quotazioni, e infine batterle all’asta a prezzi vertiginosi …se non è speculazione questa!
La conclusione a cui si è arrivati alla fine di questo vivace e intelligente scambio di opinioni è questa: al di là di tutte le mode e di tutte le speculazioni, se rubare l’arte vuol dire riconoscere un valore in un’opera e andarselo a prendere, cioè fruirlo, allora questo è un buon modo per incrementare il settore artistico, ma questo valore riconosciuto deve essere rivolto alle idee di cui l’opera si fa portatrice, e non all’oggetto in sé.
Segnaliamo un interessante pubblicazione edita in Italia dal Sole 24 ore, che si propone di studiare il fenomeno Blog, i "diari" virtuali sempre più diffusi sulla rete, dal punto di vista delle aziende e della possibilità d'incremento del business. Il suo titolo è appunto Business Blog e gli autori sono Robert Scoble, collaboratore di Microsoft e curatore di un Blog di successo, e Shel Israel, esperto in innovazione e pedina chiave nel lancio di tecnologie di grande successo come Powerpoint, Filemaker e e workstations di Microsystem. Lo studio cerca di chiarire come i blog di comuni impiegati siano riusciti a modificare sensibilmente la percezione che l'opinione pubblica ha di determinate grandi aziende. Attraverso il loro approccio particolarmente friendly i blog diventano qundi uno straordinario strumento di comunicazione a disposizione delle società per costruire (o ricostruire) la fiducia, elemento cardine nel rapporto tra azienda e consumatore, attraverso un lavoro quotidiano di contatto con i propri lettori. Per dirla con Scoble e Israel, "il blog è interattivo, è informale, è frizzante, pieno di errori di grammatica e qualche volta anche di parolacce"; ma "parte da un desiderio reale di parlare e METTE IN COMUNICAZIONE LA GENTE". Rappresenta "l'opportunità per l'azienda di lasciare esprimere il cliente, consentirgli di ribattere, farlo sentire in CONTATTO DIRETTO". SCOBLE ROBERT - ISRAEL SHEL
BUSINESS BLOG
Editore: IL SOLE 24 ORE
Pubblicazione: 05/2007
Numero di pagine: 310
Prezzo: € 26,00
Prezzo NicePrice: € 22,99
EAN: 9788883638367
l tema è sicuramente di attualità per internettiani e non. Vi segnalo la recente uscita del libro SECOND LIFE, Guida turistica essenziale per ISBN Edizioni. Dalla la quarta di copertina: "Questo non è un libro di questo mondo. È la guida turistica per l'ultima delle destinazioni possibili: Second Life, il continente abitato dai doppi on-line di cinque milioni di esseri umani. Questo volume racconta la storia di un fenomeno sociale, descrive un'economia che ha già prodotto milionari e spiega come orientarsi, comportarsi, vestirsi, viaggiare, fare sesso o shopping in questo universo parallelo. Insomma, una guida preziosa, una specie di Virgilio digitale semplice, divertente e generosa di consigli e curiosità. Indispensabile per non sentirsi tagliati fuori e non perdersi nulla di ciò che, una volta dentro, accade davvero. O per finta?" Più datati invece, si fa per dire, due libri sempre sull'argomento: il saggio Second Life di Mario Gerosa e The second life official guide di Michael Rymaszewski e Wagner Au.
L’idealista è un curioso e affascinante romanzo che nasconde un regalo inatteso, omaggio alla nostalgia e alla giovinezza di tante sognatrici amanti delle letture e delle belle storie che sono cresciute con le sorelle March.
Meg, Jo, Beth, Amy: sono nomi che rievocano ricordi emozionanti per tante lettrici adolescenti e non, che con le Piccole Donne hanno pianto e fantasticato.
Ma L’idealista non rende protagoniste le signorine March, che rimangono figure secondarie sullo sfondo di un racconto storico, duro, violento e sofferto, nel quale l’idealista personaggio di primo piano è il cappellano March, padre delle Piccole Donne.
Il romanzo ne percorre l’anno passato al fronte, nel pieno della Guerra Civile americana, tra flashback, che ne tratteggiano la giovinezza, il presente, fatto di combattimenti e prevaricazioni, e le lettere alla moglie e alle figlie, scritte con falsa allegria, e la volontà di nascondere il reale e il brutto, per fare emergere delicate riflessioni e dolci parole d’amore.
E’ in queste lettere che riaffiora l’atmosfera incantata e un po’ stucchevole di casa March, con i sogni, i buoni sentimenti, le piccole grandi avventure della soffitta letteraria, e dei ricami davanti al fuoco: su un altro livello il romanzo racconta della vita nei campi di cotone, degli oltraggi inflitti, delle battaglie, con le parole e con le armi, dei compagni abolizionisti, delle tante storie di umanità e dolore, tra le fila dei soldati e degli schiavi.
Il libro di Geraldine Brooks, appassionato omaggio al capolavoro di Louise May Alcott, lavora su più registri e, attraverso l’invenzione letteraria e la ricerca storica, ci racconta una parte inaspettata della vita della famiglia March, attraverso il ritratto di un uomo fatto di grandi ideali, ma anche piccole fragilità, tante debolezze e qualche comprensibile e umanissima macchia, che lo rende più vero agli occhi del lettore.
Gli incontri di schiavi e schiavisti, gli scontri, sul campo di battaglia e nei salotti dei bianchi violenti e arroganti, la malattia e la fame, e la consapevolezza della propria umanità: il cappellano March esce dall’ombra, e anche nel rapporto con la moglie tentenna, dubita, preso e qualche volta accecato dai suoi ideali e dal desiderio di combattere per essi.
Lo attende un cottage, pieno di ragazzine dolci e delicate: davanti a sé ha campi di battaglia, infuocati combattimenti, atrocità e ingiustizie, e schiavi torturati e sofferenti. Sceglierà il suo destino, tornando a casa, umiliato dalla sua stessa debolezza di uomo, ma accettando la sua responsabilità di padre, accolto dall’abbraccio e dagli schiamazzi delle sue bambine commosse, in una scena che fa parte da tanti anni della nostra memoria.
Il risultato è intenso, un felice romanzo storico, nel quale gli episodi narrati si intrecciano virtuosamente a riflessioni filosofiche non banali sull’eterno dilemma tra ideale e realtà.
Di Admin (del 10/07/2007 @ 15:47:25, in News, linkato 7181 volte)
Dal 10 al 21 luglio 2007 lo Spazio Espositivo Secondo Piano della Libreria Internazionale Ulrico Hoepli ospita una selezione dei nuovi lavori di Battista Luraschi, uno dei più interessanti esponenti delle nuove ricerche creative; l'artista ha sviluppato dopo varie esperienze un linguaggio assolutamente originale, utilizzando oltre a strumenti tradizionali - come inchiostri e acquerelli - anche materiali plastici, trasformando schedari e cartellette d’ufficio in forme inconsuete. Battista Luraschi è nato a Lurago Marinane nel 1951, dove vive e lavora. Si è diplomato all’ Accademia di Belle Arti di Milano svolgendo attività di illustratore, scenografo, designer e pittore. Una serie fittissima di personali e collettive concorrono a visualizzare gli intrecci disciplinari del design con l’arte. Dalle prime ricerche “ L’interno dopo la forma dell’utile” a “ Nuove intenzioni del design” (1982), dal “ Racconto per un ambiente”(1985) a “ Effetto placebo” (1987) a “ Ordine e disordine”(1988), si giunge con la mostra “ Anni novanta” (1991) a un misurato riciclaggio di oggetti comuni che restituiscono economie di produzione-lavoro ai cristallini sistemi dell’arte.
Piccole tracce, per uno spazio contemporaneo rimandate ai cataloghi e alle riviste di settore.
Don Tapscott, riconosciuto economista di fama internazionale, e Anthony Williams, direttore delle ricerche di New Paradigm, firmano Wikinomics, un interessante saggio dedicato al processo di collaborazione di massa che, questa è la loro tesi, è destinata a cambiare il mondo (o perlomeno il futuro del business e dell'economia). A fornire la metafora di un mondo in movimento che collabora e avanza è naturalmente la rapida e universale diffusione di Wikipedia, l'enciclopedia online cui tutti possono accedere e collaborare direttamente. Il mondo di Wikinomics è un mondo in cui "milioni di persone interconnesse tramite e-mail, blog, community e chat usano Internet come la prima piattaforma globale di scambio". La tecnologia viene sfruttata in questa chiave da tutti gli attori del processo economico (consumatori, lavoratori, fornitori, business partner e persino concorrenti) per innovare insieme. Una partecipazione collettiva all'economia che non ha precedenti e che sembra aprire nuovi rivoluzionari scenari alle tecniche di marketing e di gestione delle imprese.
Un libro snello ma dal contenuto ricchissimo, che si legge in una sera, ma poi viene la tentazione di lasciarlo lì, sul comodino, per poterlo aprire e consultare... Al bisogno.
Dosi forti e ben misurate di quotidiana saggezza e immortale poesia, scritte con la scusa dell’arte e valide per tutta la vita. Le Lettere a un giovane poeta ti sorprendono per la loro universalità: ti coglie un leggero e strisciante senso di impotenza leggendo cose che hai sempre pensato, o creduto di sentire, ma senza le giuste parole per dare forma a un’emozione, o all’intuizione di un pensiero.
A me questo libro è stato regalato da una cara amica, che voleva, attraverso le pagine di Rilke, farsi conoscere meglio, e si è fatta voler bene tanto tanto di più.
Si tratta di scritti veri, non di esercizi letterari o filosofici: le Lettere a un giovane poeta sono state scritte e realmente spedite al giovane scrittore Kappus fra il 1903 e il 1908.
Attenzione però: è un libro che non si sottrae alla rovina dell’appunto, della sottolineatura selvaggia, nel segnetto di sbieco come promemoria. Sono tanti i passi che, leggendo, ti viene da fermare nel ricordo, per tornare a rileggerli…al bisogno, appunto.
Ogni lettore trova quelli che meglio interpretano la sua intimità e il suo pensiero.
Io mi tengo sul comodino questi appunti, un invito alla serenità, alla fiducia nella vita, e al rispetto di sé, una riflessione sul valore dell’assenza di giudizio, e sulla ricchezza che tutti noi, nel profondo, inconsapevolmente, possediamo.
Se la vostra vita quotidiana vi sembra povera, non l’accusate; accusate voi stesso, che non siete assai poeta da evocarne la ricchezza; ché per un creatore non esiste povertà né luoghi poveri e indifferenti.
E se anche foste in un carcere, le cui pareti non lasciassero filtrare alcuno dei rumori del mondo fino ai vostri sensi – non avreste ancora sempre la vostra infanzia, questa ricchezza preziosa, regale, questo tesoro dei ricordi?
Rivolgete in quella parte la vostra attenzione. Tentate di risollevare le sensazioni sommerse in quel vasto passato; la vostra personalità si confermerà, la vostra solitudine s’amplierà e diverrà una dimora avvolta in un lume di crepuscolo, oltre cui passa lontano il rumore degli altri.
Sempre l’augurio che possiate trovare assai pazienza in voi da sopportare e assai semplicità da credere; che possiate acquistare sempre più fiducia in quello ch’è difficile e nella vostra solitudine tra gli altri. E per il resto lasciatevi accadere la vita.Credetemi: la vita ha ragione, in tutti i casi.
Non vi osservate troppo. Non ricavate conclusioni troppo rapide da quello che vi accade; lasciate che semplicemente vi accada.
RILKE RAINER M.
LETTERE A UN GIOVANE POETA
Editore: ADELPHI
Pubblicazione: 11/1980
Numero di pagine: 148
Prezzo: € 7,50
EAN: 9788845904417
Il titolo ricorda una vecchia canzone dei CCCP, gruppo punk filo-sovietico degli anni '80, creatura di Giovanni Lindo Ferretti e decennale band di culto per svariate generazioni di giovani "alternativi": "islam punk und punk islam", dicevano le parole, "a Istanbul sono a casa, corro di fianco al muro"... Il nuovo romanzo di Michael Muhammad Knight non ha quasi niente da condividere con il ritmo sincopato della Band emiliano-berlinese, a parte il fascino misterioso e singolare di questa commistione apparentemente inconciliabile tra Punk ed Islam. L'autore stesso è certo un personaggio dalla storia originale: nato nel 1977 negli Stati Uniti d'America, si converte all'Islam all'età di quindici anni. Essenziale nella sua formazione la lettura dell'autobiografia di Malcolm X e la musica rap dei Public Enemy. Studia l'Islam nelle madrasse del Pakistan, ma abbandona il paese per unirsi alla Jihad, la guerra santa in Cecenia, combattendo nelle file degli indipendentisti contro l'esercito russo. Si definisce scrittore americano islamico progressista e contro l'Islam più integralista ha già pubblicato e diffuso in fotocopie due libri, Where Mullhas Fear to tread e Furious cock. Dal suo primo romanzo, Islampunk, è nato un nuovo genere musicale specificamnete punk-islamico denominato Taqwacore; la parola Taqwacore è una contrazione dei termini hardcore e Taqwa, parola islamica che definisce la pietà divina (tra le band che s'ispirano a questo genere The Kominas, 8-bit e Vote Hezbollah).
Islampunk è un romanzo che combina un'istintiva irriverenza a una comicità essenziale e irresistibile: la vicenda è ambientata in una comune punk-islamica di Buffalo, negli Usa, popolata da personaggi stilizzati e emblematici del singolare universo dell'autore. Umar, "musulmano punk votato all'astinenza da alcol, sesso promiscuo, tabacco e droghe"; Rabeya, "femminista radicale col burka"; Jehangir, "mistico sufi che fuma erba e suona la chitarra elettrica"; Muzammil, "che si batte contro l'omofobia dell'islam ortodosso": dalla curiosa chimica tra i personaggi ha origine un racconto vertiginoso e spiazzante, visto attraverso gli occhi dell'io narrante, uno studente d'Ingegneria di origini pakistane che alla vita nel campus preferisce quella nella comune. Il risultato è certamente una promettente opera prima che corrode numerosi luoghi comuni sulla cultura islamica, smentendo la presunta incomapibilità tra specificità culturali islamiche e controculture radicali e giovanilistiche di origine occidentale. Il cocktail ha un potenziale esplosivo e non mancherà di generare polemiche anche in Italia, dove Muhammad Knight è pubblicato da Newton & Compton.
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