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Daverio e contemporaneamente
Di Valentina Muzzi (del 04/07/2007 @ 07:01:26, in Libri di Arte, linkato 3424 volte)
Martedì 26 giugno si è tenuto alla Triennale di Milano l’ultimo dei sei incontri curati da Philippe Daverio, “Daverio e contemporaneamente”, svoltisi tra Roma e Milano, il cui scopo era quello di discutere sul futuro e sul presente dell’arte contemporanea, coinvolgendo anche utenti che non sono operatori del settore. L’incontro di martedì, intitolato “Non comprate l’arte, rubatela!”, si è svolto nella rilassante cornice del giardino della Triennale, tra le mucche della cow parade, messe all’asta per beneficenza il giorno prima, e prendeva le mosse dall’idea di poter scovare artisti di talento prima che speculazioni legate alla moda ne facciano lievitare il prezzo di mercato, rendendone le opere inaccessibili ai più. La conversazione si è vivacemente articolata tra Daverio e i suoi ospiti, Angela Vattese, storica e critica, Gino di Maggio, storico promotore di una delle ultime avanguardie, Fluxus, e Jean Jacques Label, artista e critico. Si è partiti dalla domanda se sia sensato per il futuro investire capitali nell’arte; questo dato di partenza ha subito fatto nascere un altro quesito: l’arte deve essere passione o speculazione? Gino di Maggio, data la sua esperienza, ha subito fatto notare come sia stato facile, in tempi non remoti, acquistare pezzi d’arte contemporanea a prezzi modici, che poi sono lievitati con gli anni, dimostrandosi lungimiranti investimenti. Questo meccanismo si basa su una delle grandi bugie delle quali si nutre il mercato dell’arte, e ciò sul fatto che ci sia una correlazione tra il valore commerciale e quello artistico di un’opera. Sempre più spesso vengono attribuiti elevati valori commerciali ad opere che, artisticamente parlando, non valgono nulla, intendendo con la parola “artisticamente” la capacità di un’opera di smuovere e sconvolgere il nostro intimo, la nostra emotività; questa, secondo Label, è l’unica cosa umana che rimane all’arte, e in genere alla vita, in questo nostro mondo capitalista. Se l’arte perde questa sua capacità di smuovere l’animo umano, l’unica via che le rimane per emergere è affidarsi alla moda. Se è vero che le altre arti, come la letteratura, la musica e la poesia sono morte, come viene dichiarato da molti, allora l’unica arte che sopravvive è l’arte visiva, anche grazie alle nuove possibilità tecnologiche che la rendono spesso un mix di grafica, fotografia e anche produzione video. L’arte è diventata con gli anni un bene di lusso, per legittimare un mercato che si sta sviluppando in questa direzione in maniera sempre più fiorente; ma l’artista non dovrebbe essere tale solo perché vende molto. Già Leonardo da Vinci, cinquecento anni fa, affermò che la pittura è cosa mentale, e se non è tale allora non è arte, ma solo merce. Ne consegue che teoricamente l’arte non dovrebbe avere niente a che fare né con la moda né con il mercato, anche se questo non sembra ancora possibile nel nostro sistema capitalista, in cui abbiamo esempi di uomini che avendo il controllo di uno dei più importanti musei al mondo e allo stesso tempo di una delle più prestigiose case d’asta, si trovano pertanto nella condizione di poter tranquillamente comprare opere di artisti sconosciuti a prezzi stracciati, esporle nel proprio museo per farne aumentare le quotazioni, e infine batterle all’asta a prezzi vertiginosi …se non è speculazione questa! La conclusione a cui si è arrivati alla fine di questo vivace e intelligente scambio di opinioni è questa: al di là di tutte le mode e di tutte le speculazioni, se rubare l’arte vuol dire riconoscere un valore in un’opera e andarselo a prendere, cioè fruirlo, allora questo è un buon modo per incrementare il settore artistico, ma questo valore riconosciuto deve essere rivolto alle idee di cui l’opera si fa portatrice, e non all’oggetto in sé.