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Leggere è una sporcheria dolcissima. Chi può capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro? No, quella è la sola e più dolce custodia di ogni paura, un libro che inizia.

Alessandro Baricco
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Silvia Venuti (del 18/02/2010 @ 17:00:21, in Poesia, linkato 6685 volte)
Nella recente raccolta poetica di Cesare Viviani, Credere all’invisibile, Einaudi, 2009, vincitrice del Premio Alessandro Tassoni e del Premio Pen 2009, si coglie con immediatezza, attraverso la parola, l’andante musicale del sentire fattosi pensiero. E’ come un flusso lieve che trapassa dall’emozione allo sguardo, testimone della mente, traducendosi in suono e verbo. L’io, nella riflessione, si confida a se stesso con voce da diario, condividendo, in tono familiare, la qualità della"consapevolezza e dell’esperienza. E da subito, dal primo testo, c’è un riconoscimento, nella percezione: "Ogni bagliore è luce dell’eterno, / è riflesso divino" che dilata il personale vissuto a logica universale. Ed è continuo il confronto-raffronto tra il movimento, il contigente e l’eterno e il loro coesistere che induce, a volte, il poeta alla parola profetica, quando è così profonda la coscienza del limite esperito: "e il più che si può dire per avvicinarsi / alla vicenda umana / è che si vedono branchi di animali / ben addomesticati, ben custoditi." Ma aggiunge: "E quanto non viene detto, il segreto, / non è frutto di gelosia o di paura, / ma è l’unica possibilità / di uscire dal destino umano, / che è quello di essere finiti, / finiti”. Così l’accettazione delle leggi naturali, l’abbandono ad esse diventa il compimento del più nobile destino: "Eguagliare la natura, essere / eguagliati da essa. / Non c’è migliore augurio, / più alto valore.” e l’amore del movimento, unica via per amare l’eterno. Nella contraddizione, nella coincidenza dei contrari, si manifesta il mistero della vita. E il poeta si interroga su di esso, per definirlo o negarlo: "E se l’incomprensibile / fosse l’immaginazione?" Ma la verità del dolore permane indicibile, inspiegabile, inconsolabile nella tensione tra visibile e invisibile, esistente e inesistente. La parola del poeta, volta alla sintesi, comunica con umile semplicità la sua accorata consapevolezza. "Non sente niente Colui che dà la vita, / non può sentire, / e noi a domandare, a chiedere, / a inventare storie a cui credere (…) per ritrovarci poi alla fine / a mendicare vicini”. Tutta la scrittura, che poggia sul discrimine vita-morte, è attraversata dal dolore della perdita, dalla limpida percezione della tragedia: "Qui non si tratta di raggiungere / la verità o di svelare la menzogna / qui si tratta di vedere / uno dopo l’altro tutti cadere." e insieme dalla domanda di una ben precisa scelta "Ora sta a noi decidere / se invocare l’infinito o respingerlo." A fronte del mistero della vita, espresso da una trama di forze incomprensibili e invisibili, il senso della morte incombe sul transeunte e "Una tomba priva di forze sarà / la più giusta dimora, / così come le rovine sono / riscaldate e approvate da innumerevoli / passaggi del sole". Lieve come una brezza mattutina la voce del rimpianto: "Eppure, quando cominciarono a formarsi, / avevamo puntato tanto sui sentimenti, / come se con loro potesse inaugurarsi / un mondo". Ma per reazione c’è il riconoscimento di un potere, quello dell’immaginazione che è azione nell’incommensurabile; al contempo la denuncia delle illusioni avviene con sguardo pietoso, senza cinismo. La voce sapienziale del poeta giunge dall’interno, dall’intimo, non è sovrastante, il tono è fraterno e solidale. Negli spazi dell’attesa nascono spazi liberi e lì si riconoscono i sentimenti: "Di tanti innumerevoli valori / fossimo tutti concordi nel credere / che il massimo è il respiro". E affiora all’improvviso anche l’umanizzazione del divino, per farlo partecipe, in un tentativo di conciliazione tra limite e illimitato, tra finito e infinito: "Dio che tremava / per aver creato l’assoluto inganno, / l’infinito, / che è, è / senza fine". Il poeta parla con se stesso e agli altri: presenta la concreta esperienza come unica verità attendibile. La dimensione del divino, ancora, si apre attraverso l’espressione di un dolore incommensurabile: "E’ che non si può più ricordare quel dolore, / è immemorabile, / e ogni gesto esce dalla memoria, passato, / solo la fantasia rimane, il punto di felicità / di vedere l’Onnipotente tutto preso / a coltivare il suo campo e il suo grano". E si presenta la percezione netta dell’invisibile che guida costantemente la vita individuale. Credere dunque in esso. Credere all’invisibile. E nell’interrogarsi sulla realtà e verità del dolore accostarsi, inevitabilmente, alla dimensione metafisica rintracciabile nella natura che risulta espressione primaria, fonte di ogni autentico linguaggio. Cercare nella natura la 'prima' verità del dire mentre la vita compiuta appare come un’illusione all’interno di un sogno impersonale. Questa drammatica consapevolezza è sempre espressa in tono equilibrato e dimesso. Nel distacco da sé si avvera l’unica libertà "Ma credere / è guardare le stelle, il loro / intermittente lucore. / Da esse siamo nati, muti. / E’ questa l’unica libertà da noi." Nella natura, nell’umile accettazione delle sue regole si sospende ogni giudizio ma permane costante il confronto tra consapevolezza e sentimento che a fatica tracima oltre la pacatezza controllata del dire.

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Di Silvia Venuti (del 08/06/2007 @ 06:54:51, in Poesia, linkato 6035 volte)
Il 4 giugno 2007, la Fondazione D’Ars-Oscar Signorini onlus ha organizzato, con il Patrocinio del Comune di Milano e in collaborazione con la Libreria Internazionale Hoepli, l’incontro con il poeta Gilberto Finzi che ha presentato la recente raccolta Poetile, Nino Aragno Editore, 2006.
La voce profonda e intensa di Alessandro Quasimodo, attore e regista di chiara fama, ha fatto vibrare i versi di Gilberto Finzi di particolari risonanze emotive. Una poesia ardua, la sua, che si muove nell’ambito dell’ermetismo, della sperimentazione linguistica, del citazionismo. Da Salvatore Quasimodo ad Antonio Porta, sono attraversati tutti gli umori culturali e la ricerca poetica del Novecento con uno spirito particolarissimo: la sua lucida e acuta visione critica si trasmette, infatti, con una carica di forte indignazione e di sferzanti invettive. Alla polemica accesa, ironica e sarcastica è sottesa, sempre, una grande sofferenza che si fa, quindi, con grande consapevolezza etica, dolorosa testimonianza della dimensione storica, politica, civile e culturale: la violenta denuncia iconoclastica è espressa nella speranza di un cambiamento, nell’attesa di una trasformazione.
Contro una cultura mediocre, degradata, massificata, contro il protagonismo letterario, Gilberto Finzi, da sempre si ribella e rimanda a Giovenale, alla sua Musa iraconda. Così emblema della sua amara riflessione diventa l’espressione, ripresa da Salvatore Quasimodo: “La vita è una maceria”. Questa recente pubblicazione “Poetile” si propone, tuttavia, anche, su un piano di confronto con modalità liriche, che rendono evidente l’attraversamento di un sentire più tenero e delicato. L’opera è suddivisa in cinque parti: Nuove lune e ippogrifo, Haiku, Il mio di me, Satura, Per vizio estremo. Nella sezione degli Haiku, il poeta, lavorando, sempre rigorosamente, sulla forma della parola nella formula classica delle diciassette sillabe, cinque più sette più cinque, incontra, felicemente, la liricità dell’Oriente, con una particolare forza arsa e intellettuale.
Ottavio Rossani, giornalista del Corriere della Sera e poeta, nella sua introduzione, ha individuato proprio questo passaggio verso una maggiore attenzione al sentire come una sfida, del poeta, verso se stesso.
Gilberto Finzi, nato a Mantova, vive da decenni a Milano. Critico, letterario e d’arte, ha collaborato e collabora a vari giornali, dal “Corriere della Sera” ad “Avvenire”. Condirige, con Gio Ferri “Testuale”, rivista di ricerca critica sulla poesia contemporanea. E’ autore di numerosi interventi critici su scrittori contemporanei, da Pavese a Quasimodo, del quale ultimo ha curato, prefato e annotato l’opera omnia – Poesie e Discorsi sulla poesia – nei “Meridiani” Mondadori. Il suo lavoro critico è raccolto prevalentemente in Poesia in Italia – Montale, Novissimi, PostNovissimi, Mursia 1979 e Crepuscolo della scrittura, Mursia 1991. Ha pubblicato due romanzi; un “diario senza data” intitolato Le cose come sono, 2003, e recentemente una “favola politica” ispirata alla Repubblica di Platone, Il tarlo della libertà, 2004. Per la poesia i titoli più recenti sono: Morire di pace (autobiografia), Campanotto, 1992, prefazione di Giuliano Gramigna; Tre formule di desiderio, Spirali, 1981; L’oscura verdità del nero, Garzanti, 1987; Dèmone se vuoi, Book,1994; Poesie laghiste, Scheiwiller, 1997; Soldatino d’aria, Marsilio 2000. Nel 2003 la Fondazione Banca Agricola Mantovana ha pubblicato Gilberto Finzi, La ventura poetica 1953-2000, per celebrare l’attività letteraria del poeta nella collana delle biografie dei mantovani illustri.



Già il mio tempo sta per scadere -
la frase in sé non consente
nemmeno un ipèrbato, un semplice
spostamento come quello
da Freud colto nella sua rete
di sogni.
Gilberto Finzi, versi tratti da MiniVillonTestamento, Poetile, Aragno, 2006

FINZI GILBERTO
POETILE
Editore: ARAGNO
Pubblicazione: 11/2006
Numero di pagine: 72
Prezzo: € 13,00
ISBN: 8884192722
 
Di Silvia Venuti (del 16/03/2007 @ 07:41:48, in Poesia, linkato 25945 volte)
Presso la Libreria Internazionale Hoepli, via Hoepli 5, Sala conferenze, piano sotterraneo

21 Marzo 2007, ore 18

Il sogno dell'interpretazione - Cesare VivianiManifestazione promossa dalla Commissione Nazionale Italiana dell’UNESCO in occasione della Giornata Mondiale della Poesia 2007 nell’ambito della VI edizione della Rassegna

“Quando la poesia diventa scrittura” 2007 - II° incontro con i poeti contemporanei.
“La vita di tutti i giorni, la poesia e la psicanalisi”

Letture e interventi di Cesare Viviani

Organizzazione: Fondazione D’Ars-Oscar Signorini onlus

Curatore: Silvia Venuti





La forma della vita - Cesare VivianiIl giorno 21 marzo 2007, alle ore 18, la Fondazione D’Ars-Oscar Signorini onlus, ha organizzato, in occasione della celebrazione della Giornata Mondiale della Poesia, promossa dall’Unesco, con il Patrocinio del Comune di Milano – Cultura e Musei – Settore Musei e Mostre e in collaborazione con la Libreria Internazionale Hoepli, l’incontro con il poeta Cesare Viviani che tratterà il tema La vita di tutti i giorni, la poesia e la psicanalisi prendendo spunto dalla sua raccolta di poesie La forma della vita, Einaudi 2005 e dal suo saggio sulla psicanalisi, riedito recentemente da Costa & Nolan, Il sogno dell’interpretazione. La poesia di Cesare Viviani, attraversando il viaggio esistenziale a livello individuale e collettivo, propone un grande affresco di vita contemporanea. Il sogno dell’interpretazione interroga, fino a rovesciarli, i punti rigidi della psicanalisi con l'intenzione di riportare la teoria alla sua vera origine, l'esperienza, e di gettare nuova luce sul rapporto analista-paziente la cui forma ideale, per l'autore, è raffigurata da due persone che, sedute accanto, guardano un film. La forma della vita è un arazzo di vicende raccontate attraverso una visione sapienziale. La poesia si sviluppa dai frammenti di vita dei molti personaggi le cui giornate sono espresse per mezzo dei luoghi comuni dell’informazione ma che poi, con la forza della partecipazione affettiva dell’autore, acquisiscono ben definite e significative identità individuali. Il poeta è nato a Siena nel 1947 e vive a Milano dal 1972. Ha scritto i seguenti libri di poesia: L’ostrabismo cara (Feltrinelli, 1973), Piumana (Guanda, 1977), L’amore delle parti (Mondadori, 1981), Summulae 1966-1972 (Scheiwiller, 1983), Merisi (Mondadori, 1986), Preghiera del nome (Mondadori, 1990; Premio Viareggio), L’opera lasciata sola (Mondadori, 1993), Cori non io 1975-1977 (Crocetti, 1994), Una comunità degli animi (Mondadori, 1997), Silenzio dell’universo (Einaudi, 2000), Passanti (Mondadori, 2002). Poesie 1967 – 2002, (Mondadori, 2003), La forma della vita,(Einaudi, 2005). Tra i saggi ricordiamo: Pensieri per una poetica della veste (Crocetti, 1988), Il mondo non è uno spettacolo (Il Saggiatore, 1998), La voce inimitabile. Poesia e poetica del secondo Novecento, (Il Nuovo Melangolo, 2004).
 
Di Silvia Venuti (del 30/01/2007 @ 07:07:18, in Poesia, linkato 5996 volte)
Il giorno 25 gennaio 2007, alle ore 18, la Fondazione D’Ars-Oscar Signorini onlus ha organizzato, con il Patrocinio del Comune di Milano e in collaborazione con la Libreria Internazionale Hoepli, l’incontro con il poeta Luciano Erba che ha presentato la recente raccolta Remi in barca, Lo Specchio, Mondadori, 2006. Ha introdotto la serata Gio Ferri, poeta, saggista, grafico, autore di Assedio della poesia,1998; Inventa lengua, Marsilio,1999; Le Palais de Tokio, 2004; L’assassinio del poeta (vol. I, II), 2004-2005; e condirettore di “Testuale”.

Remi in barca raccoglie un primo gruppo di poesie, sotto il titolo Westminster, inedite o edite con varianti, dedicate all’attesa, quindi un secondo gruppo, dal titolo l’Altra metà che riprende i testi pubblicati presso San Marco dei Giustiniani e a conclusione una scelta di poesie giovanili inedite, intitolata In limine. Gio Ferri ha sottolineato come nei testi di Erba primeggi un’idea di dinamismo: ”La vita è veloce, in fuga perpetua, si passa da dimenticanza in dimenticanza, cancellando memorie: la poesia segue e precede la vita ma ne è anche il principio, il fondamento. La fuga non va al nulla ma, di fuga in fuga, procede verso una nuova metamorfosi: è un poema interminabile, inarrestabile.” Il titolo Remi in barca, non allude così ad una rinuncia ma ad un altro viaggio vissuto in un tempo di pausa, favorevole ai ricordi, con l’emozione trattenuta di chi guarda in silenzio. Gio Ferri ha evidenziato come il poeta, abbandonando certe ironie, amarezze, tipiche soprattutto della fase giovanile, documentata da In limine, abbia acquisito una nuova misura di maturità poetica e umana. La poesia di Erba è poesia minimale perché c’è, in essa, un ridursi ai minimi di percezione. Con il minimalismo, arte del cavare, avviene l’immersione nelle regioni del silenzio: il minimalismo diventa la primigenia semente del tutto dove, scavando l’abisso del nulla, si può misurare la propria capacità d’affrontare il rischio di vivere. Dopo la lettura da parte dell’autore di una scelta di poesie è seguito l’intervento di Stefano Agosti che ha sottolineato come sia evidente un rinnovamento nella poesia di Erba: le sue immagini si sono così rarefatte da raggiungere una totale sovradeterminazione degli oggetti, nel senso di un eccesso di pienezza vitale. Ogni oggetto è, cioè, sovradeterminato, presenta nodi di senso, di significazioni, di stratificazioni personali. Dopo la lettura di Scale: ” Scale / che non portano da nessuna parte / scale / che salgono soltanto per scendere / è difficile orientarsi / nei dintorni del nulla.” Marco Forti ha interpellato il poeta sul nulla, sottolineando come la sua poesia tuttavia apra, continuamente, nuove porte. Erba ha citato allora il senso del mistero: “L’idea del mistero è già un momento religioso e di umiltà, e io cerco subliminalmente di coglierlo attraverso la parola.”
Il pubblico che affollava la sala ha sottolineato con ripetuti applausi le letture e gli interventi. Erano presenti personaggi di spicco della cultura letteraria milanese.

Silvia Venuti
 
Di Silvia Venuti (del 30/11/2006 @ 17:51:51, in Poesia, linkato 9394 volte)


Il giorno 28 novembre 2006, la Fondazione D’Ars-Oscar Signorini onlus ha organizzato, con il Patrocinio del Comune di Milano e in collaborazione con la Libreria Internazionale Hoepli, l’incontro con il poeta Silvio Ramat che ha presentato: Tutte le poesie ( 1958- 2005 ), l’antologia che raccoglie tutta la sua opera poetica, recentemente edita da Interlinea. L’introduzione è stata svolta dal critico e poeta Giancarlo Pontiggia, curatore con Enzo Di Mauro dell’antologia poetica La parola innamorata (Feltrinelli 1978), redattore delle riviste «Poesia» e «Smerilliana» e critico letterario dell’«Avvenire».

Giovanni Raboni parlava per Ramat di poesia continua e del suo bisogno fisico di riversare via via in immagini e figure il tumultuoso, multiforme susseguirsi delle occasioni esistenziali. “In questa prospettiva”, sottolinea Giuseppe Langella, autore dell’approfondito ed esaustivo saggio di presentazione, “ il mondo non ha altro scopo se non quello di offrire materia di canto al poeta, che del canto appunto vive, nel canto adempie il suo destino.” La sfida che si pone Ramat è, dunque, sono parole sue, l’ora zero da riafferrare. Il principio del canto, quel punto più accosto alle sorgenti, dove la poesia acquista una voce diversa, mentre tutto il resto è letteratura.

L’intenso e significativo incontro con Silvio Ramat, ha fatto emergere con forte rilevanza la sua statura poetica.Il complesso della sua opera è stato paragonato ad una “enciclopedia” per la quantità delle voci trattate, più di ottocento, e per la vastità dei contenuti che sono stati sviluppati nell’arco dei decenni. Dalla vivace e partecipata presentazione di Giancarlo Pontiggia, è emerso il valore etico della poesia di Ramat che affronta la dimensione quotidiana del vivere trasformandola in consapevole riflessione sui principi fondamentali dell’esistenza. L’attenzione alla condizione umana e il suo continuo confrontarsi con la libertà e il limite, con la tenerezza e l’indifferenza, tra il dicibile e l’indicibile, lo pongono in stretto rapporto con la realtà contemporanea. Moltissime sono le poesie che ripropongono meditazioni sul linguaggio e sulla sua funzione. Sul foglio di sala era riportata la poesia E se i libri da lontano

Sarete stanco, signor passeggero.
La notte è andata, e voi qui sul mio carro
tutta una tirata sotto le stelle.
Fa freddo? Queste che il rosa addolcisce
sono le mura di Recanati.
E queste le chiavi della città.
Entrate da solo, sarà affar vostro
orientarvi – il dedalo non è
nelle vie dove non si sente un grido
ma semmai nel cuore di chi sapete.
Il poco sole forse gioverà.
Penso che un paio d'ore basteranno
a farvi capire se questo viaggio
era opportuno o inutile. Se i libri
da lontano dicevano già tutto.
Io intanto lego il carro a questi lecci
su cui insiste la luna (o cara luna…).
Siate calmo. Io v'aspetto. Mi direte.

1998 (da Silvio Ramat PER MORE, Crocetti, 2000)

Da questa poesia si evincono i capisaldi della poesia di Ramat: il viaggio, il desiderio, il sogno, la passione letteraria, il tempo, la natura, la storia, la solitudine del poeta, il labirinto della conoscenza, l’interiorizzazione, l’interrogazione, la trasmissione attraverso la parola, l’emozione del vivere. Nelle profondità culturali e spirituali, la sua poesia si apre ad incredibili scoperte, trasalimenti e riconoscimenti. Il pubblico composto da noti intellettuali, protagonisti della vita culturale milanese, ha partecipato con viva commozione all’incontro.

Silvia Venuti, 30 Novembre 2006
 
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