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 Venezia... di Matteo Ulrico Hoepli
 
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La lettura rende un uomo completo, la conversazione lo rende agile di spirito e la scrittura lo rende preciso.

Francis Bacon
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Eleonora Isella (del 02/04/2010 @ 15:01:41, in Libri di narrativa, linkato 14496 volte)
"Non posseggo molte parole, ma queste poche sono mie, le ho ricevute, le vivo e riscrivo e solo la morte sigillerà il racconto. Ne faccio commercio, ne faccio dono". Così, come seguendo un alfabeto, Giovanni Lindo Ferretti, il poliedrico musicista e scrittore, narra la storia della gente di Cerreto Alpi, ogni lettera per introdurre una semplice parola, che vale come un incipit. Così si svolgono le vicende della famiglia dell'autore, dalla capostipite Maddalena alla madre Eni allo zio Archimede, cacciatore di orsi. Moltissime figure compaiono in questo libro, secondo romanzo dell'ex cantante rock Giovanni Lindo Ferretti: cacciatori di frodo, preti solitari, allevatori di cavalli, poetesse analfabete, difensori dei prati e dei fiumi, forgiatori di campane, ex brigatisti in fuga. Sono le persone che capita di incontrare sugli Appennini, in cui Ferretti si è ritirato, come una specie di eremita. Questo libro rappresenta la sua definitiva crescita e maturazione, in un lungo percorso incominciato ai tempi dei CCCP.

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Di Eleonora Isella (del 20/04/2010 @ 16:52:46, in Libri di narrativa, linkato 13073 volte)
La ragazza di Via Maqueda è un libro che rappresenta un ritorno per Dacia Maraini, un ritorno a quella Sicilia che è per lei un luogo dell'anima, rifugio d'infanzia dopo le vicissitudini della guerra; ma la Sicilia è anche un simbolo, una manifestazione dell'Italia intera, se non addirittura delle condizioni attuali dell'Occidente. In questi racconti troviamo l'attualità bruciante della prostituzione delle giovani immigrate africane, l'inquinamento dei mari, la precarietà del lavoro che, senza santi in paradiso, non si trova a dispetto di tutte le lauree. Troviamo, però, anche lo sguardo rivolto al passato, alla Sicilia povera dell'infanzia, prima di spaziare sui racconti ambientati a Roma, città che raccoglie i ricordi più cari della scrittrice, e infine in Abruzzo, che suscita creatività in quanto terra di boschi, solitudini e silenzi. E soprattutto, come ci aspettiamo dalla Maraini, hanno molto peso le donne, come protagoniste che nelle poche pagine del racconto svelano personalità complesse.

Nata a Fiesole nel 1936, Dacia Maraini è senza dubbio una delle più grandi scrittrici della letteratura italiana contemporanea. Autrice prolifica di prosa, poesia e teatro, tra i suoi libri ricordiamo La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990), Bagheria (1993), Colomba (2004).

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Di Roberto Seoni (del 23/04/2010 @ 17:28:24, in Libri di narrativa, linkato 7913 volte)
Non si può che cominciare con alcune citazioni tratte, evidentemente, dal libro che il giornalista-scrittore Tiziano Terzani dedicò alla Cambogia: pag. 118 – anno 1975 "Fui il primo a poter raccontare di aver visto i khmer rossi, di averli visti da vicino, anche se li avevo visti in una posizione in cui la paura mi aveva forse un po' deformato la loro visione. Ma ripeto, quel giorno, uscii dalla Cambogia con grande sollievo, ma anche con un senso di... simpatia. Perché pensavo di nuovo che questa fine della guerra fosse una liberazione e fosse l’inizio di un nuovo periodo in quel paese". pag. 322 - anno 1992 "L’uomo che mi siede accanto è un assassino, responsabile di centinaia di migliaia di morti (si parla di Khieu Samphan, uno dei fondatori dei khmer rossi, stretto collaboratore di Pol Pot, intellettuale che ha razionalizzato il massacro di almeno un milione e mezzo di persone)... Fosse un tedesco, accusato degli stessi crimini durante la Seconda Guerra mondiale, sarebbe ricercato in tutto il mondo e dovrebbe nascondersi. Ma lui è Cambogiano, è ora protetto dalle Nazioni Unite, viene chiamato "Eccellenza" e viaggia con una guardia del corpo..." pag. 324– anno 1992 "Perché i crimini dei nazisti sono stati riconosciuti per tali dall’intera comunità internazionale e quelli dei khmer rossi no? Forse perché le vittime degli uni erano degli ebrei, dei bianchi, e quelle degli altri erano dei semplici cambogiani dalla pelle scura?" pag. 327 – anno 1992 "Quello che Pol Pot, Khieu Samphan ed i khmer rossi hanno fatto alla propria popolazione, massacrandone almeno un terzo in nome di un loro sogno politico, non è da meno di quel che i tedeschi fecero nei confronti degli ebrei. Eppure, mentre la storia della Germania e della condanna dei suoi dirigenti criminali è stata messa al fondo della nostra coscienza, la storia dei massacri cambogiani viene ogni giorno di più ignorata, viene messa da parte e lentamente cancellata dalla memoria". Fantasmi è una raccolta di articoli che Tiziano Terzani ha scritto sulla Cambogia: la pagina, evidentemente, è quella in cui si trova la citazione all’interno del testo; l’anno è quello in cui il giornalista ha scritto il pezzo in qualità di inviato dall’Asia. Sono passaggi significativi in quanto sintetizzano l’iniziale entusiasmo, la successiva presa di coscienza e la condanna definitiva di un regime – quello dei khmer rossi – che Terzani, intellettuale di sinistra, aveva inizialmente salutato quale speranza per il futuro di un Paese che riusciva finalmente a sognare un domani indipendente liberandosi del nemico Stati Uniti. Nel 1975 Pol Pot è una figura sconosciuta pressoché a tutti; nel 1975 con la "liberazione" di Phnom Pen la Cambogia è letteralmente blindata e inaccessibile al mondo esterno; nel 1992 i fatti e le testimonianze iniziano ad emergere e tutto l’orrore di quei quattro anni che hanno significato l’assassinio di almeno un milione e mezzo su sette di cambogiani (c’è chi parla di tre milioni, ma le cifre non sono accertate) inizia ad emergere. Ecco allora che anche Tiziano Terzani, che già in altri testi si era dichiarato amante della verità sopra le parti, cambia giudizio ed esprime tutta la disillusione che un uomo può provare vedendo un popolo magico ed affascinante portato alla deriva da sé stesso, e con sé stesso si intende ovviamente il movimento dei khmer rossi capeggiato da Pol Pot. Ingannati e traditi, i cambogiani si fanno massacrare a suon di bastonate (per non sprecare pallottole), vedono le palme crescere fertilizzate da cadaveri umani, vengono fatti migrare dalla città alla campagna in pellegrinaggi mortali per ritrovare l’antica saggezza contadina khmer. Va da sé che l'attacco agli Stati Uniti non viene risparmiato. E' colpa del "colonialismo" statunitense se si è potuta formare un’organizzazione quale quella dei khmer rossi che, volenti o nolenti, ha inizialmente ottenuto consensi spontanei; è stata la posizione strategica della Cambogia a farla finire quale pedina nel contenzioso Vietnam-Thailandia vedi Russia, Cina. E’ stato il doppio-giochismo di Re Sihanouk a fare si che il Paese venisse appoggiato da un susseguirsi di Paesi diversi alla ricerca di un profitto personale (Francia, Stati Uniti, Vietnam, Thailandia). Un Paese poco conosciuto ma strategico a livello politico per la supremazia in Indocina di una potenza o l’altra, che si è fatto trascinare nel baratro più profondo e che a distanza di diversi decenni non ha ancora ottenuto giustizia. Basti dire che Pol Pot è morto nel 1998 vivendo indisturbato al confine thailandese, che i khmer rossi dopo il 1979 sono stati i rappresentanti ufficiali della Cambogia alle Nazioni Unite, che Khieu Samphan sedeva nel 1992 al tavolo delle trattative per definire la riorganizzazione del Paese. Ecco perché trovo fondamentali gli interrogativi di Terzani: perché tutti devono conoscere l’olocausto nazista e pochissimi quello Cambogiano? E quanti massacri simili si ripetono oggi, mentre noi continuiamo a sentir dire dai media che la giornata della memoria serve a far sì che certi episodi non si ripetano mai più? Nel 1975-1979 si stavano già ripetendo il tutto, la condanna dei crimini nazisti era in già in atto e fungeva da monito, ma nessuno guardava dove c’era da guardare. Forse invece di guardare sempre al passato, allo STESSO passato targato Germania Nazista, dovremmo guardare altrove. Onestamente è quello che mi auguro.



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