Crazy Diamond è la nuova edizione del volume di
Watkinson e
Anderson dedicato al leggendario fondatore dei
Pink Floyd,
Syd Barrett, il principe psichedelico della Londra anni '60. Difficile, per chi ha conosciuto l'opera di Syd (contenuta in un album registrato con i Pink Floyd,
A piper at the gates of dawn, e in pochi altri lavori solisti), osservare le fotografie inedite contenute nel libro senza provare un certo brivido: alcuni sono scatti tratti direttamente dalla collezione privata della famiglia Barret e ci mostrano un
Syd sconosciuto, privato, eppure nel contempo così simile al folletto gotico che per
l'espace d'un matin ha sconvolto la scena musicale britannica con il suo genio ipnotico e visionario. Non sembra forse di udire le diaboliche note di
Lucifer Sam, mentre un Barret bambino ci fissa con un sardonico sorriso luciferino, trascinandoci nelle profondità dei suoi neri occhi da spirito della foresta? O quando cinquantenne fissa incerto e imbolsito l'obiettivo, non traspare un barlume della follia espressiva che caratterizzava gli orgiastici assoli della sua chitarra nella psichidelica
Interstellar Drive?
E' in un certo senso singolare leggere un libro su
Syd Barrett a circa un anno dalla sua morte fisica: perchè in fondo di lui si parla come di un "trapassato" da quarant'anni, da quando travolto dall'abuso di LSD, o forse soltanto dalla violenta sensibilità di un'anima incapace di sopportare le regole dello star system, è "scomparso dalla scena". Forse proprio per questa sua uscita dal palcoscenico silenziosa, misteriosa, senza il botto, senza, per dirla in maniera forse "scorretta", la morte giovane di un
Jim Morrison o di un
Kurt Cobain, si è forse sempre avuta l'impressione che in realtà non se ne fosse mai andato: che, per citare un episodio raccontato da
David Gilmour nel libro, fosse ancora là, dietro il palco, a fissarti da un angolo buio, con la forza impareggiabile e penetrante dei suoi occhi neri. Simile a un gatto, principe nero dei
Sweet Sixteen.
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