Come vivo ora è un libro nato per i teenager, e diventato in poco tempo anche per gli adulti un caso letterario, che ha scalato le classifiche internazionali e raccolto i più prestigiosi premi letterari e i riconoscimenti della critica.
L’autrice si chiama
Meg Rosoff e si è scoperta scrittrice a 46 anni, dopo aver lavorato nella pubblicità e nell’editoria.
Il libro inizia come una classica fiaba adolescenziale: Daisy, quindici anni, anoressica e problematica, viene mandata dal padre a vivere in Inghilterra dalla zia Penn e dai cugini. Dalla caotica Brooklyn Daisy si trova immersa in un’atmosfera campestre quasi fiabesca: la vita nella bella magione inglese è idilliaca e spensierata, gestita dalla tribù dei cugini bambini e Daisy, introversa e silenziosa, ne è affascinata.
La storia d’amore con il cugino Edmund sembra aprire, con la precoce passione, un’inaspettata “fame” di affetto in Daisy.
Ma la favola è presto stravolta, così come la narrazione: l’Inghilterra è invasa da un imprecisato nemico, in una imprecisata guerra terroristico - mondiale.
L’atmosfera da bucolica si fa irreale, senza tempo, un incubo senza volti alla Orwell. E il percorso di formazione della giovane Daisy passa attraverso l’orrore, la devastazione, la separazione dai cugini, la fuga.
Daisy trova il modo di reagire, di sopravvivere, di scoprire un’altra fame, dopo quella d’amore: la fame di cibo, che l’aiuta a crescere, seguendo, affamata e determinata, la strada che gli indica il suo cuore, in un dialogo telepatico d’amore con il cugino lontano.
E con Edmund termina la storia di Daisy, in uno sguardo di improvvisa e dolorosa maturità, nel quale la responsabilità dell’amore e dell’amicizia è il bagaglio di bene da portare in salvo. Nella sicurezza della casa.
Come vivo ora è un libro semplice e intenso, che parla di amore, di amicizia, dei disagi dell’adolescenza e dell’orrore della guerra, senza retorica o luoghi comuni, ma con poesia e sprazzi di eccentricità.
La narrazione in prima persona, intelligente e arguta, che riesce anche a giocare con il lessico dell’adolescenza, guida il lettore a un finale non scontato, in cui gli affetti recuperati sono intrisi della tristezza disincantata di chi ha sperimentato il dolore e la perdita.
"Se non siete mai stati in guerra e vi state chiedendo quanto ci vuole per abituarsi a perdere tutto ciò che pensate di amare o di cui siete convinti di avere bisogno, posso dirvi che la risposta è Non ci vuole niente."